"Ci vuole cultura e struttura. Ci vuole un’organizzazione, radicata e flessibile, giovane e coraggiosa: un soggetto politico che si metta in rete con tutte le esperienze innovative, e che tessa il filo delle idee e delle passioni autentiche. " (dal Manifesto fondativo di Sinistra Ecologia Libertà)


domenica 24 giugno 2012

DOPO LE ELEZIONI IN GRECIA, L'EUROPA NON E' SALVA


Poche altre volte, nella storia, è capitato che i cittadini di un intero continente seguissero con tanta apprensione ogni singolo passaggio di una vicenda elettorale. E’ accaduto in Europa, nascondere l’ansia per gli ultimi risvolti della vicenda greca è stato praticamente impossibile. Per cui, riflettori puntati sulla Grecia. Eccoci là, eccoci incollati alla tv, agli smartphone o ai tablet per conoscere l’esito di quel “rigore” imposto alla popolazione greca – i cui effetti, in verità, dovrebbero essere ben noti.
Nea Dimokratia ha vinto le elezioni greche. Un sospiro di sollievo percorre mari e Monti, i mercati esultano, gli scommettitori della finanza brindano e noi cittadini europei assieme a loro – del resto è ad essi che abbiamo affidato le sorti della nostra economia, no?

Dunque la Grecia rimarrà nell’Euro alle condizioni della Troika, la sua permanenza nella moneta unica sembra aver scongiurato una volta per tutte le paure di un (eventuale) «effetto domino» sulle altre economie europee che una (eventuale) fuoriuscita dall’Eurozona avrebbe provocato, il capro espiatorio del dramma europeo potrà continuare a rimanere tale.

Il dibattito sulla questione greca è stato per lo più alimentato da falsi miti. Le elezioni greche sono state interpretate dall’opinione pubblica internazionale come un referendum sulla moneta unica, con Alex Tspiras sul banco degli imputati quale incosciente fautore del ritorno alla Dracma. Non è esatto: Tspiras ha anzi ribadito più di una volta il sentimento europeista del suo Paese, lamentando semmai che il cammino intrapreso da questa Europa non è quello giusto.

Tspiras non intendeva affatto sottolineare il peso ingombrante della moneta unica, invocandone l’uscita. Solo, il leader di Syriza si è riservato di denunciare quanto l’austerity stesse facendo male al suo Paese e quanti pochi benefici stesse portando alle economie dell’Eurozona. Intervistato dal Guardian, Tspiras ha sottolineato la necessità di rinegoziare quel ‘memorandum’ che Bruxelles ha imposto alla Grecia, affermando che “il popolo greco ha bisogno di un urgente programma di riforme che supportino la crescita, la creazione di posti di lavoro e gli investimenti”, una serie di misure finalizzate a stimolare l’economia greca “per poter pagare il debito e riformare ogni aspetto della vita, dal sistema sanitario al settore pubblico”. Niente di più diverso da quanto lasciato trasparire dalla stragrande maggioranza della stampa internazionale, insomma.

Amputare una gamba per curare un raffreddore. Questa sembra divenuta la prassi, in Europa. E non è solo una metafora. L’Unione Europea miope lo è divenuta davvero, sia nella diagnosi del malato greco sia nella capacità di definire se stessa e i suoi limiti.

Spesso non ce ne rendiamo conto, ma la Grecia sta male davvero. Il reddito pro capite medio dei cittadini greci è diminuito di circa il 30% dall’inizio della recessione mentre il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 23%. Nella più ottimistica delle previsioni, il prossimo anno il debito pubblico dovrebbe assestarsi al 161% del Pil nazionale. Le imprese falliscono o scappano all’estero, i dipendenti greci lavorano in media 2120 ore all’anno (molto più dei tedeschi, per la cronaca) ma hanno vacanze più corte della media europea (fonte: Sbilanciamoci.info).

Ma il capitolo più drammatico della tragedia greca riguarda sicuramente il settore sanitario – questione di cui troppo poco si parla, a dire il vero. Nonostante i consistenti tagli al settore, lo Stato deve circa 750 milioni ai farmacisti. Soltanto ad Atene sono state chiuse 120 farmacie e almeno 300 sono i farmaci non più trovabili sugli scaffali. Gli ospedali non ricevo finanziamenti sufficienti, le famiglie sono costrette a portare con sé materiali di prima necessità per i propri familiari ricoverati nelle strutture pubbliche, i pazienti affetti da cancro non possono permettersi di sostenere il peso economico delle cure.

Insomma: l’Unione Europea non sta curando il paziente, lo sta letteralmente uccidendo. “Health” e “Wealth” sono due concetti che non appartengono più all’Europa, purtroppo è un dato di fatto. Noi pensiamo che una crisi non si può combattere attingendo a quelle risorse che dovrebbero essere destinate a settori di vitale importanza quale la sanità e il welfare.
Quindi no, l’Europa non è “salva”.


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lunedì 18 giugno 2012

REDDITO MINIMO GARANTITO, PARTE LA RACCOLTA FIRME


Finalmente ci siamo. Una legge d’iniziativa popolare per l’istituzione del reddito minimo garantito, realizzata grazie alla collaborazione con il Bin – basic incombe network, connessa alla campagna europea che probabilmente partirà a settembre. Un passaggio importante sul piano delle cose concrete da fare oggi. Un passaggio fondamentale di cultura politica che sceglie il terreno della precarietà esistenziale come nodo decisivo della crisi occidentale e della società italiana. Lo scopo principale della legge è quello di realizzare una campagna che ponga al centro il contrasto alla marginalità e un’attenzione forte a come garantire la dignità della persona e favorire la cittadinanza attraverso l’inclusione sociale.

In una condizione di tragedia economica come quella attuale, con i livelli di precarizzazione selvaggia e di disoccupazione di massa, soprattutto dei più giovani, il reddito può essere una risposta, una possibilità di scelta, di rivendicazione di autonomia e futuro. Con il reddito minimo scegliamo un punto di vista, quello di chi è maggiormente escluso a partire dalla condizione di genere e generazionale.

Siamo tra i pochissimi Paesi europei a non avere alcuna forma di tutela di ultima istanza. Siamo persino inadempienti rispetto all’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La riforma Fornero peggiora ulteriormente questa condizione. Non solo. La riforma tende a generalizzare la condizione di precarietà e la ministra ai tagli e alla disoccupazione di massa allude persino all’azzeramento delle tutele presso la pubblica amministrazione.

Il reddito minimo è un argine contro il lavoro nero, il lavoro sottopagato e la negazione delle professionalità e della formazione acquisita. Significa in buona sostanza non vendersi sul mercato del lavoro alle peggiori condizioni possibili. Da argine può diventare un paradigma. Per questo il disegno di legge propone tre deleghe al governo sul riordino della spesa assistenziale, gli ammortizzatori sociali e l’istituzione del salario minimo garantito capace di determinare il compenso orario minimo applicabile a tutti i rapporti aventi ad oggetto una prestazione lavorativa. Il reddito minimo può essere un grimaldello con cui ridisegnare le politiche attive del lavoro, i processi formativi e la generalizzazione del welfare.

Partiamo da subito con la raccolta di migliaia di firme, apriamo comitati a sostegno della legge ovunque sia possibile con chiunque abbia voglia di condividere questa battaglia. Supportiamo con tutte le nostre energie i ragazzi e le ragazze di Tilt con i quali abbiamo collaborato e che saranno l’anima e il corpo di questa iniziativa.

scarica qui il testo della proposta di legge popolare!
http://www.sinistraecologialiberta.it/pdf/PdL_Redditominimogarantito.pdf


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lunedì 11 giugno 2012

LA SFIDA DI VENDOLA: PRIMARIE DI COALIZIONE VERE E APERTE


intervista a Nichi Vendola di Andrea Carugati, l'Unità 07/06/2012
Nichi Vendola è molto irritato con il Pd. Anche con Bersani, nonostante il rapporto tra i due segretari sia solido. Il leader di Sel ha investito sul rapporto con questo Pd a trazione bersaniana, nella scommessa di costruire un nuovo centrosinistra e, in nome di questo obiettivo, si è più volte tenuto a freno nelle critiche all’alleato.

Non ieri, quando ha sparato a zero insieme a Di Pietro sulle nomine nelle authority, condivise dal Pd: «Una ferita che rende meno credibile l’alternativa e apre scenari problematici anche per eventuali coalizioni ». Alla buvette di Montecitorio, è ancora più esplicito: «Se continuano così io non riesco a reggere un altro anno, la gente è imbufalita, ci chiede di essere diversi anche nei comportamenti e loro fanno queste figure...». L’altro tema che appensantisce i rapporti è quello delle primarie. Da due anni il leader di Sel si candida per guidare il centrosinistra, «ma da mesi mi sono imposto di non parlare più di primarie per non passare da disturbatore...».

Ora però che Bersani ha aperto a questa prospettiva, Vendola è sospettoso. Primarie del Pd o di coalizione? Il margine di ambiguità lasciato finora dal leader democratico non rassicura. E così il presidente della Puglia ribadisce: «Se ci saranno le primarie della coalizione mi candiderò». Toni ancora morbidi, in attesa della relazione di Bersani domani alla direzione Pd. Da cui Vendola si aspetta parole chiare.

Pronto a far partire un «fuoco di sbarramento» nel caso in cui i democratici decidessero per una competizione interna al partito. «Non si illudano che noi poi ci si adegui», spiega un fedelissimo del governatore. «Fare primarie di partito sarebbe un atto di guerra, questo è il momento di aprirci alla società, non di curare i rapporti tra le correnti del Pd». E ancora: «Se insistono sull’autosufficienza, non contino sul fatto che noi si possa accettare una “separazione consensuale”, come nel 2008 tra Bertinotti e Veltroni». Vendola esclude è di entrare nel Pd per partecipare alle primarie: «Non voglio essere annesso...».
Esclude anche un’eventuale rimozione dell’orecchino, nella corsa per le primarie o anche dopo, in caso di vittoria. «Toglierlo? Mai».E snocciola i punti chiave del suo programma da candidato: reddito di cittadinanza, smontaggio della riforma Gelmini sulla scuola e una «patrimoniale sulle grandi ricchezze».

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lunedì 4 giugno 2012

MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO LA CACCIA A TORINO E RACCOLTA FONDI PER LE ZONE COLPITE DAL SISMA


È stata indetta per il 3 giugno 2012 la Manifestazione Nazionale per protestare contro la decisione presa, dal Consiglio Regionale del Piemonte e dalla Giunta presieduta dal Presidente Roberto Cota, di abrogare la Legge sulla Caccia e la relativa abolizione del referendum. La decisione è stata presa in modo deciso, nonostante da tempo volontari e associazioni stessero lavorando per informare la popolazione del Piemonte sulla necessità di andare a votare per il referendum.

La motivazione avanzata dal Consiglio Regionale è da identificarsi con la crisi economica attuale, liquidando il referendum come uno spreco di soldi e non come un’espressione insindacabile dell’opinione pubblica. L’argomento piuttosto caldo ha visto le due fazioni interloquire in modo fitto per mesi, senza mai raggiungere una linea di condotta e un dialogo comune. Nonostante le proposte avanzate dal Comitato Referendario, di accorpare il voto con le elezioni amministrative, il Presidente di Regione ha preferito annullare il tutto ignorando il Comitato.
Grazie all’inserimento di un articolo all’interno della legge finanziaria regionale, che ha condizionato l’abrogazione della normativa oggetto del referendum e l’introduzione di una nuova disciplina che rimanda alla legge nazionale (157/92) che ne colma momentaneamente il vuoto legislativo, il referendum abrogativo è diventato di fatto superfluo. Questo tipo di scelta non è anticostituzionale, ma è prevista dalla legge stessa 352/70: modificando la normativa oggetto in linea con il quesito proposto, rende di fatto nulla la necessità referendaria. In questo caso è stata chiamata a decidere la Commissione di Garanzia del Piemonte, la quale si è espressa a favore dell’annullamento del Referendum confermando la richiesta della Giunta.
Il Comitato promotore del referendum non ci sta ed ha organizzato la Manifestazione con l’occasione di puntare i riflettori su questa mancata espressione popolare, e la difficoltà di modificare una legge contro la quale il dialogo è forte sin dal 1987. Come spiega Roberto Piana del Comitato promotore e vicepresidente della Lac (Lega per l’abolizione della caccia):
"Sarà una manifestazione per la democrazia. Intanto abbiamo previsto due strade legali, il ricorso al Tar e la richiesta di scioglimento del Consiglio regionale in base all’articolo 126 della costituzione per gravi violazioni di legge".

Per partecipare alla Manifestazione, l’appuntamento è a Torino il 3 giugno 2012 alle ore 15,30 con un concentramento dalle 14.30 in corso Bolzano 30, a 100 metri da Porta Susa.
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venerdì 25 maggio 2012

HOLLANDE E LA NUOVA POLITICA EUROPEA

Non appena eletto, Francois Hollande ha corso il rischio di trovarsi isolato sulla scena internazionale per due essenziali ragioni. Per la sua ferma intenzione di ritirare l’esercito francese dall’Afghanistan entro la fine del 2012 e, in misura maggiore, per il suo profondo dissenso nei confronti dell’austera politica economica propugnata quasi esclusivamente per iniziativa della Germania. Ebbene, è accaduto esattamente il contrario. Non solo le idee di Francois Hollande sull’Afghanistan non sembrano entrare in collisione con le scelte di Barack Obama in materia di “Foreign Affairs” ma il neopresidente francese ha anche ricevuto un forte sostegno dal titolare della Casa Bianca sulla necessità di introdurre un patto per la crescita – questione sulla quale la Merkel continua a fare orecchie da mercante, affezionata com’è al suo austero mantra. In attesa del vertice Franco-Italo-Tedesco che si terrà a Roma i primi giorni di giugno, la speranza è che il nuovo inquilino dell’Eliseo continui a tener viva la sua propositività anche a Bruxelles, in occasione della riunione informale del Consiglio Europeo. Pare che Hollande abbia intenzione di proporre formalmente il lancio di eurobond, le obbligazioni europee per finanziare grandi progetti di struttura – altra proposta di cui la Germania non vuole sentir parlare. “Non sarò il solo a portare delle proposte”, ha dichiarato sabato scorso Hollande – alludendo forse all’Italia, che nelle prossime settimane rischia di diventare il suo partner fondamentale per il lancio di una nuova stagione europea. Pare che anche il Premier Mario Monti abbia insistito sul fatto che l’incontro dovrebbe servire a definire misure concrete come il rafforzamento del capitale della Banca europea per gli investimenti, la presentazione di progetti per la realizzazione di infrastrutture e il cammino verso gli eurobond. La difesa di una strategia improntata alla crescita “potrebbe cambiare le coordinate della politica economica europea” – ha detto un diplomatico europeo anonimo. Tutto da rifare in Grecia: si attende con ansia l’esito delle elezioni del 17 giugno, che potrebbe portare alla vittoria un partito che rigetta le misure di austerità imposte ad Atene dal sovrano europeo Angela Merkel – situazione che potrebbe significare l’uscita dall’euro e il default, nonché un tracollo finanziario per i Paesi dell’Eurozona. Il Presidente della Commissione Europea e il Presidente della BCE sanno quanto la spinosa questione della crescita possa essere il principale ostacolo alla riduzione dei debiti sovrani. Tuttavia è essenziale, in questa fase, convincerli che il pragmatismo monetario della BCE non è sufficiente, non entro gli assurdi limiti fissati da quel Trattato di Lisbona oggi corretto da politiche di aggiustamento strutturale. Lo stesso Mario Monti, nonostante abbia dimostrato di essere un affezionato sostenitore di quelle “riforme strutturali” dal sapore neoliberista, pare stia cominciando a sottolineare la necessità di politiche di investimento pubblico per la crescita. Il fallimento della stagione dell’austerità estrema imposta a Spagna, Grecia, Paesi Bassi e Regno Unito è un dato oggettivo: questa la ragione che ha spinto Francois Hollande ad impugnare la sua battaglia per convincere le destre governative europeee che una politica basata sulla crescita oggi è imprescindibile, se davvero intendiamo evitare il tracollo dell’eurozona. L’austerità non funziona, occorre una maggiore flessibilità rispetto ai vincoli di bilancio, occorre lanciare una politica di investimento. Quale crescita? Ebbene, crediamo fermamente che il rilancio delle politiche economiche comunitarie debba inanzitutto passare per una radicale svolta in senso ecologista. Le energie rinnovabili non solo sono il futuro della nostra economia, ma devono esserne il presente. In ogni caso, è bene sottolineare che l’auspicata riduzione del deficit va perseguita attraverso una ferrea lotta all’evasione fiscale. Questa deve essere la priorità in ambito fiscale. Si calcola, infatti, che il deficit medio dei Paesi dell’eurozona sia di circa 250 miliardi di euro. Ciò proprio a causa delle somme che sfuggono al fisco per volare nei paradisi fiscali.

venerdì 18 maggio 2012

INIZIATIVA PUBBLICA - LAVORO E WELFARE IN TEMPO DI CRISI


Siamo lieti di invitare i cittadini di Collegno a partecipare all'iniziativa pubblica:
LAVORO E WELFARE IN TEMPO DI CRISI
Lunedì 21 maggio 2012 h. 21.00
Salone CGIL, via Morandi 5 - Collegno (TO) h. 21.00

Introduce
Enrico Manfredi - coordinatore circolo SEL Collegno

intervengono
Giorgio Airaudo - segretario generale FIOM-CGIL nazionale
Carla Cantone - segretaria generale SPI-CGIL nazionale

conclude
Michele Curto - coordinatore provinciale SEL Torino

Circolo Sinistra Ecologia Libertà di Collegno

domenica 13 maggio 2012

SEL CRESCE: ORA I BALLOTTAGGI

Si respira una nuova aria in Italia, dopo le elezioni comunali del 6 e 7 maggio. Non solo per la dissoluzione della destra, che è stata pesantemente punita dagli elettori per l’ultra-decennale malgoverno in cui ha precipitato il paese e le singole amministrazioni locali, non solo perché nel complesso il centro sinistra ha invece dimostrato, nonostante tutto, di essere ancora credibile per gli elettori, ma possiamo anche respirare un’aria più serena grazie all’affermazione delle liste di Sinistra Ecologia libertà. Si susseguono sui media, in questi giorni, commenti e considerazioni sul nostro risultato, alcuni centri di studio sommano disinvoltamente il nostro risultato a quello della Federazione della Sinistra, per poter fare dei raffronti improbabili con il risultato de La Sinistra l’Arcobaleno del 2008. La nostra analisi va oltre, prendiamo atto che, dopo due anni, la media complessiva nazionale delle nostre liste ha superato con nettezza la evocativa soglia del 4%. Al netto delle decine e decine di liste civiche, animate e sostenute dai nostri dirigenti e attivisti, che hanno determinato una proposta diffusa di buon governo e soprattutto un risultato esaltante in termini elettorali. Non possiamo non riconoscere ai Candidati Sindaco che Sinistra Ecologia e Libertà ha messo a disposizione della coalizione di Centro Sinistra un ruolo determinate nella sconfitta della destra, per fare due esempi chiarificatori, pensiamo a Genova, dove comunque il centro sinistra già governava, ma soprattutto a Rieti, dove si è interrotta una lunga serie di vittorie scontate per la destra, attraverso un risultato storico. Se analizziamo i capoluoghi al voto: sui 5 capoluoghi assegnati al primo turno 3 vanno al centro sinistra, 4 di questi vedevano un’amministrazione uscente di centrodestra, ma in quasi tutti i ballottaggi il centrosinistra è in testa. Se raffrontiamo i dati di SEL (nei comuni capoluoghi) con le elezioni Regionali del 2010 (unico dato omogeneo applicabile) possiamo riscontrare un incremento di quasi un punto percentuale e di circa 10.000 voti, senza contare che in alcune delle regioni le liste, all’epoca, ospitavano anche altre formazioni politiche e che il peso del risultato Pugliese, trainato dal nostro leader, era considerato inavvicinabile. Eppure la Puglia, come sempre, non ha deluso, restando di oltre un punto al di sopra della media Nazionale, regalandoci anche la soddisfazione di un risultato, come quello di Taranto, trainato da un candidato a Sindaco, comunque molto vicino a noi, che, benché disturbato da un nugolo di candidati e da un’operazione di sciacallaggio politico senza precedenti, ha di poco mancato l’obiettivo di passare al primo turno. E’ importante rivendicare che questo risultato fotografa un reale e consolidato radicamento di SEL nei territori, oltre che premiare quelle realtà che hanno saputo maggiormente aprirsi all’esterno, dimostrando che la novità del nostro soggetto politico è soprattutto nella capacità di intercettare i contributi migliori della cittadinanza attiva. In ogni regione si riscontrano città dove SEL ha raggiunto percentuali ben oltre il 5%; senza appesantire questa analisi, perché il numero è significativo, ricordiamo anche i tanti Sindaci di SEL eletti nei Comuni sotto ai 15.000 abitanti, le liste che anche nella difficile Sicilia, hanno superato lo sbarramento del 5%, necessario per ottenere degli eletti. Segnaliamo, uno per tutti, la vittoria al primo turno nel comune di Feltre (provincia di Belluno, 20.000 abitanti) del candidato a Sindaco di SEL. Incoraggianti sono i risultati ottenuti, in molte città, attraverso liste civiche, di chiaro riferimento a sinistra e per i beni comuni, promosse da SEL, ma anche nate spontaneamente, che dimostrano come il nostro potenziale elettorale è ancora molto sviluppabile. Se calcolassimo anche le liste civiche promosse in appoggio ai nostri candidati a sindaco o promosse in alcune realtà dai nostri dirigenti, la percentuale media nazionale salirebbe ben oltre il 5%. Un altro dato importante è constatare che la collocazione di SEL nel centro sinistra, affianco al PD è mediamente più apprezzata dai nostri elettori, infatti la percentuale media scende ad appena il 3% per le liste in coalizione con la sola Italia dei Valori e addirittura sotto il 2 % per le liste in coalizioni di estrema sinistra. Questo è un dato che vale anche per l’IDV e in per il PD: dove il centro sinistra è unito, ne beneficiano tutte le liste. Unica eccezione a questo è la coalizione di liste civiche promosse da SEL a Belluno che è riuscita ad ottenere che un altra importante città venga strappata alla destra, infatti il ballottaggio sarà tra la coalizione del PD e IDV e la nostra coalizione di liste civiche di centro sinistra, con appena 150 voti di scarto. Il risultato è incoraggiante per il nostro giovane movimento politico, che in condizioni assolutamente francescane, è riuscito a mettere in campo una campagna elettorale efficace e pervasiva. Siamo certi che il folto gruppo di amministratori di SEL eletti in questa tornata, sapranno dimostrare nei fatti che un’Italia migliore esiste, e che si può fare una buona politica partendo dal basso. Nei prossimi giorni l’impegno di tutti deve essere diretto alla vittoria dei candidati a Sindaco del Centro Sinistra, è l’ultimo sforzo che dobbiamo compiere per far si che una vittoria travolgente sia di auspicio per rinsaldare la coalizione in vista di più importanti sfide per il bene dell’Italia. E’ indispensabile non guardare a queste elezioni solo con il filtro del crollo del centrodestra. La richiesta di un progetto politico chiaro, partecipato e alternativo è fortissima. Le forze del centrosinistra devono essere consapevoli che l’Italia è a metà del guado tra Francia e Grecia: si può affrontare la crisi con un discorso netto contro l’austerità o precipitare nel caos recessivo proposto dai tecnocrati. Bisogna intervenire al più presto per offrire al paese una proposta di governo credibile e in discontinuità con le politiche antisociali del governo Monti. In ogni caso per Sel questo è il terreno di iniziativa che porteremo avanti con determinazione. Nei prossimi mesi la crisi sociale diventerà sempre più drammatica: dall’ingiusta tassazione sulla prima casa con l’Imu agli aumenti delle tariffe, dall’indebolimento dei diritti dei lavoratori alla totale assenza di misure ecologicamente sostenibili per rilanciare l’occupazione e l’economia. Sel ribadisce la sua più ferma opposizione alle misure del governo. Bisogna mettere al centro la lotta alla precarietà, l’equità fiscale e sociale, creare occupazione e sviluppo con una nuova economia verde, difendere i beni comuni. Per fare tutto ciò non è più rinviabile dare la parola ai cittadini. Riteniamo perciò indispensabile essere nelle mobilitazioni sociali delle prossime settimane, a partire da quelle dei lavoratori e degli studenti. Saremo ancora più impegnati nel proporre la buona politica, quella fatta con spirito e comportamenti rigorosi, trasparenti e disinteressati. La strada per combattere la crisi è quella di far pagare chi ha prodotto la crisi: dalla patrimoniale sulle grandi ricchezze ad una rigorosa azione di controllo sullo strapotere della finanza. Vogliamo proporre il reddito di cittadinanza per tutti e tutte ma riteniamo altrettanto indispensabile che la politica non sia sequestrata dai partiti che sprecano le risorse dei cittadini. Una nuova partecipazione è indispensabile per il cambiamento del paese. Circolo SEL Collegno

venerdì 4 maggio 2012

PERCHE' RIPUBBLICIZZARE SMAT SPA

SEL Collegno: PERCHE' RIPUBBLICIZZARE SMAT SpA Comitato provinciale Acqua Pubblica Torino: www.acquapubblicatorino.org Il Comitato Acqua Pubblica Torino torna a chiedere una firma ai cittadini, ripercorrendo la strada che nel 2010 ha portato, con le delibere d'iniziativa popolare sottoscritte da 12.000 elettori, a modificare gli Statuti di Comune e Provincia, inserendo in essi i principi che l'acqua non è una merce e che la sua gestione deve essere effettuata da entità pubbliche. Una firma per una nuova proposta di delibera che, utilizzando gli strumenti della democrazia diretta, chieda ai Consigli Comunale e Provinciale di Torino di far uscire SMAT dalle logiche della gestione privatistica proprie della sua natura di società per azioni, riportandola nell'alveo del diritto pubblico con la trasformazione in azienda speciale consortile, appunto pubblica e partecipata dai cittadini. E' un' iniziativa che assume particolare significato, inserita com'è in un contesto generale che vede la politica italiana a quasi un anno dai referendum dello scorso giugno, continuare ad ignorare l’esito di quella straordinaria prova di democrazia e partecipazione popolare, con la quale gli italiani hanno chiaramente espresso la loro volontà di liberare la gestione del bene comune acqua dalle logiche del profitto. I vari ambiti di governo nazionale e locale continuano a non riconoscere che con il voto referendario si è espressa una visione della società alternativa a quella da loro quotidianamente praticata e propagandata, la quale considera quasi un fatto naturale, non emendabile nè discutibile, il sottostare alle leggi del mercato. La campagna per ripubblicizzare SMAT vuole fornire un forte stimolo al dibattito politico locale, e favorire la messa in discussione di quell'ideologia liberista la quale, lungi dall’essere una verità assoluta, è l'espressione di ben precisi interessi e nel cui nome si stanno sacrificando, depotenziandole o svendendole ai privati, le attività di servizio pubblico al cittadino. La sfida ideale e culturale che si sta avviando a Torino e Provincia per l'affermazione di nuove modalità di gestione del servizio idrico costituisce quindi un primo passo per un'azione di contrasto alle ricette ultraliberiste, che impongono la (s)vendita dei servizi pubblici quale unica soluzione per fare cassa e fronteggiare la precaria situazione finanziaria nella quale si dibattono i Comuni. La critica agli strettissimi vincoli alla spesa degli Enti Locali imposti dal Patto di Stabilità dovrebbe essere il cardine di un’azione politica volta a ridiscutere il tema della finanza pubblica. Non bastano dichiarazioni estemporanee (''Il patto di stabilita' e' stupido” ha affermato a fine anno il Sindaco Fassino), per denunciare l’asservimento della finanza pubblica alla volontà dei mercati. Gli strettissimi vincoli alla spesa imposti dal Patto devono essere con forza contestati, con un’iniziativa che trovi slancio proprio a livello locale. Iniziativa che porti al centro del dibattito e della proposta politica la riappropriazione della Cassa Depositi e Prestiti quale strumento per sostenere la spesa pubblica locale. CdP è nata con l’Unità d’Italia per raccogliere il risparmio postale e finanziare, a tasso agevolato, gli investimenti di Comuni e Province. La sua trasformazione in Spa ed il susseguente ingresso delle fondazioni bancarie, stanno indirizzando CdP ad agire sempre più come un fondo privato d’investimento, distogliendo così progressivamente un enorme massa di liquidità frutto del risparmio dei cittadini (oltre 200 mld. di raccolta annui) dal suo scopo originarKio, cioè il servizio dell’interesse pubblico. Ragionare di una nuova finanza pubblica per i soggetti politici a vario livello coinvolti, significa anche richiedere con forza l’adozione della Tassa sulle Transazioni Finanziarie. Una modesta aliquota applicata sugli enormi volumi di denaro che la grande speculazione muove ogni giorno sui mercati finanziari, consentirebbe di acquisire risorse fondamentali per mantenere e sviluppare quei servizi pubblici il cui grado di efficienza ed efficacia è misura del livello di civiltà ed equa distribuzione delle risorse che la nostra Costituzione garantisce. Certo, vi è la consapevolezza che problemi la cui complessità è direttamente proporzionale alla loro importanza non vadano affrontati a colpi di slogan. E' fondamentale l'approfondimento serio e privo di pregiudizi. Ma è altrettanto certo che una politica asservita al potere della finanza, cioè all'interesse di pochi, incapace di affrontare questi temi e di concepire quindi una visione diversa di società, non può che condurre ad un progressivo degrado della nostra vita democratica.

sabato 28 aprile 2012

HOLLANDE O MONTI! BERSANI DECIDA

Intervista di Daniela Preziosi a Nichi Vendola su "Il Manifesto" 25/04/2012 Vendola: «A Firenze per approfondire, pronti a interloquire con il 'soggetto politico nuovo'» «Il leader Pd parla di Italia bene comune? Difenda il paese dal rigorismo. E ascolti: il governo ha fallito, il prezzo rischia di pagarlo il centrosinistra» La discussione italiana sulla vittoria di Hollande, dice Nichi Vendola al telefono, dalla macchina con cui in questi giorni sta girando l'Italia per la campagna elettorale ogni volta che può lasciare la Puglia, «è tutta allusiva e simbolica, non considera i programmi. C'è la gara a intestarsela, fino persino all'hollandismo di Tremonti. Non ci si accorge che il profilo politico-programmatico di Monti è quanto di più distante da Hollande. È anche un po' più a destra di Sarkozy. E questo perché i politici liberisti, a differenza dei tecnici liberisti, un qualche problema di rapporto con il welfare ce l'hanno. Le cose che dice Hollande, per esempio la tassazione dei patrimoni, l'abbassamento dell'età pensionabile, la rinegoziazione del fiscal compact, in Italia sarebbero definite 'una deriva estremistica'». Sta dicendo che Bersani dovrebbe decidere se stare con Hollande o con Monti? Dobbiamo riflettere sul Front national, su quei 6 milioni e mezzo che hanno scelto la politica della collera e del sentimento. Anche in Italia siamo in presenza di una miscela esplosiva: recessione senza un varco di luce, disoccupazione di massa, crollo di credibilità dei partiti. A Bersani dico: le ricette del governo Monti si rivelano un fallimento, e il prezzo può essere messo per intero sulle spalle del centrosinistra. Occorre dare un segnale forte, non con la politica-spettacolo o con il marketing elettorale. Occorre convocare gli stati generali del futuro con tutti i soggetti portatori di domanda di alternativa. I partiti del centrosinistra debbono mobilitare tutte le forze in campo, connettersi ai mondi che nell'associazionismo, nel volontariato, nell'intellettualità, nell'università, nella fabbrica, nelle reti degli amministratori, provano a ragionare sull'uscita dal liberismo. Oggi Bersani dice: sì a ratificare il fiscal compact, purché integrato con politiche di crescita. Io sottoscrivo il programma di Hollande che critica il dogma liberista. Che comanda, per esempio, agli stati nazionali di mettere in Costituzione il pareggio di bilancio. Altro provvedimento a cui il Pd ha detto sì. Errore gravissimo. E comunque ormai è evidente che le ricette dell'austerità sono catastrofiche. Portano alla Grecia, un paese che dopo gli incalzanti salassi sociali ed economici si ritrova con un debito doppio rispetto all'inizio della crisi. Infatti è scomparsa dai Tg. Molti si vergognerebbero di parlarne. In Francia Mélenchon dice cose simili a queste, sulla Grecia. Mélenchon ha fatto un risultato importante. Ma la mia priorità è l'idea di invertire la tendenza in Europa. Puntando sul fatto che le sinistra in Europa cominciano a mettere a tema la fuoriuscita dal liberismo. L'Italia è in ritardo. Se io dicessi le cose che dice un premio Nobel come Paul Krugman, qualche cicisbeo presunto progressista mi taccerebbe di radicalismo. Questi suoi stati generali sono parenti del soggetto politico nuovo che farà la sua prima assemblea a Firenze sabato prossimo? Sel è nata sulla pratica di una ricerca senza paletti, nominando l'inadeguatezza della forma partito, inclusa la propria. Sono interessato al soggetto nuovo. Chi lo promuove ragiona in chiave metodologica e con molti argomenti, alcuni dei quali condivisbili, altri meritevoli di approfondimento. Un asse culturale che Rossana Rossanda ha criticato con veemenza, segnalando uno scivolamento fuori dalla centralità della questione del lavoro. La pensa anche lei così? Voglio discuterne. A Firenze non ci sarò, in questi giorni sono in campagna elettorale. Ma Sel ci sarà. Ascolteremo, parleremo. Vogliamo essere interlocutori. Lo siamo sempre di chi si chiede come aggregare forze, energie, massa critica di esperienze e desideri per mettere in campo una sinistra libertaria, non testimoniale e anche affascinata dalla sfida del governo. Ma l'obiettivo di Sel resta quello di un'alleanza più vasta? Al centro della costruzione dell'alleanza bisogna metterci che Italia vogliamo. Occorre un supplemento di riflessione a proposito dei moderati e del moderatismo, categorie assunte dalla discussione pubblica alla stregua di formule magiche. La realtà ci dice che non ci sono più spazi di compromesso con il liberismo, e che il liberismo è una minaccia per gli equilibri ambientali, sociali e democratici. La campagna delle amministrative del Pd si intitola «Italia bene comune». I «beni comuni», asset programmatico del «soggetto politico nuovo» fanno nuovi adepti, oppure Bersani si è appropriato di uno slogan che funziona? Sono contento dell'arricchirsi del vocabolario del centrosinistra. Ma se il lavoro è un bene comune bisogna lottare contro la legge 30 e in difesa dell'art.18. E se l'Italia è un bene comune bisogna salvarla dal rigorismo furioso di chi la sta portando in una drammatica depressione economica. E bisogna avere il coraggio di imporre la tassazione patrimoniale sui grandi redditi e le grandi ricchezze. Non è possibile ascoltare da un esponente del governo che 'la patrimoniale l'abbiamo già fatta con l'Imu', come ha detto il viceministro Grilli. Quella è la patrimoniale sui ceti medio-bassi: ma ne aveva già fatte Berlusconi. Il manifesto del 'soggetto nuovo' fa una dura critica ai partiti. La sentite anche su di voi? Siamo un 'soggetto', non gonfio di boria di partito, nato tematizzando la necessità della ricerca per un nuovo soggetto politico. L'obiettivo di Sel non è Sel, è contribuire alla nascita di una sinistra popolare, plurale, innovativa. Possiamo portare un contributo. Intanto dicendo che i rischi da evitare sono due: un dibattito tutto metodologico e le scorciatoie organizzativistiche. Fate parte di un'area, un 'quarto polo' in cerca, come dice Arturo Parisi, di un nuovo Prodi? Abbiamo bisogno di leader e non di leaderismo. Di progetti collettivi più che di demiurghi. Il carisma necessario al cambiamento dev'essere quello della democrazia, non quello delle virtù individuali. Il Bersani che ha appoggiato Monti ma ora tifa per Hollande è ancora l'uomo giusto per guidare la prossima alleanza di centrosinistra? Bersani è un interlocutore prezioso, il popolo democratico è fondamentale per la prospettiva di alternativa di governo. L'alleanza non è un fermo-immagine, è un processo politico. Come è successo nei referendum, l'irruzione di un protagonismo largo e orizzontale può spostare in avanti l'asse programmatico e culturale di una coalizione. Per questo parlo di stati generali del futuro. Anche il centrosinistra ha bisogno di proiettarsi nel futuro. Berlusconi dice che la sinistra, intendendo però Bersani, vuole andare al voto a ottobre senza fare nuova legge elettorale. A lei l'idea non dispiacerebbe. A proposito della legge elettorale, ricordo che il mestiere della politica non è quello del Gattopardo. Quanto al voto, l'inconcludenza del governo Monti dal punto di vista delle politiche di sviluppo e di crescita, e la pesantezza depressiva delle sue scelte, implementa la sofferenza del paese. Prima si interrompe quest'esperienza meglio è.

mercoledì 18 aprile 2012

A DIFESA DEI BENI PUBBLICI E DELL'OCCUPAZIONE

Il 3 ottobre del 2005 Eurostat lanciava l’allarme sul rischio povertà per le popolazioni europee. Tra queste, uno dei paesi più a rischio risultava essere l’Italia con un dato spaventoso, il 42,5% della popolazione era a rischio povertà negli anni a venire.

Nel 2005 i dati erano già così allarmanti che Eurostat indicava in “interventi e misure di sostegno al reddito” gli strumenti necessari per arginare questo pericoloso abisso sociale.

Ad oggi i dati sulla povertà continuano a non confortarci e quegli anni che allora dovevano venire, oggi si presentano con tutta la loro drammaticità e mostrano come, nel prossimo futuro, quali rischi ci appresteremo a vivere se non riusciamo sin da subito ad intervenire con misure quali appunto un reddito garantito.

Ma quale giovane precario?

Prendiamo un “non più giovane precario” (culturalmente si tende ancora ad immaginare i precari solo in quanto giovani) di circa 45 anni e che dunque negli anni trascorsi (fine 80 e anni 90) è stato quel soggetto inserito nella grande trasformazione del mercato del lavoro in qualità di lavoratore flessibile e precario. Questa persona che potremmo definire “precario di prima generazione” ha accumulato lavori diversi, salari diversi, contratti diversi. Oggi questo soggetto che ha 45 anni non si trova più nella facilità di passare da un lavoro ad un altro, viene “emarginato” anche rispetto alle disponibilità di lavori più dequalificati e dequalificanti, anche la sua “capacità” di muoversi dentro un mercato del lavoro flessibile viene meno. Il suo curriculum è fatto di diverse azioni, di diverse competenze, di diversi settori, un curriculum schizofrenico che racconta di una vita appunto legata più alle occasionalità dei lavori che ad un’unica posizione specifica. Certo, i più fortunati hanno un curriculum che si muove forse dentro “aree lavorative” o settori di riferimento (le ICT per esempio) ma magari con mansioni diverse e tempi esperenziali diversi e che non sempre somigliano alle attuali (prendete ad esempio le competenze necessarie per sviluppare i moderni software tele comunicativi).

Quel 45enne, con la nuova riforma andrà in pensione a 66 anni (presumiamo, non senza dedicare un ghigno un po’ ironico, poichè tra qualche anno un'altra riforma ci potrebbe dire che andrà in pensione a 70\72 anni). Ma quali saranno i calcoli da fare, quali le opportunità che potrà afferrare in un mercato del lavoro così selvaggio, senza garanzia e senza possibilità di volta in volta ad essere “assumibile” dentro la “fluidità e le fluttuazioni” delle opportunità di lavoro nel prossimo presente? Altro che pensione, il problema è come affrontare la quotidianità di un eterno oggi.

Avremmo dunque un soggetto che senza una garanzia, senza più le energie del suo essere stato a venti o trenta anni “precario di prima generazione”, con un’infinita disponibilità in meno di poter essere occupato. Con una infinita disponibilità in meno, proprio in riguardo alla sua dignità personale, cadrà con molta probabilità in quella schiera già ampia dei nuovi poveri.

Fine del welfare familistico

Parliamoci chiaro, il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega sostanziale di occuparsi da parte della famiglia di una redistribuzione del risparmio dimostra come i prossimi tempi saranno più che drammatici per milioni di persone. Inoltre, le misure di ‘contrasto alla crisi’ in atto, in particolare con queste ultime finanziarie, colpiscono proprio l‘ultimo anello, già debole, del risparmio familiare, di quella catena che ha retto faticosamente il peso dello smembramento del lavoro e dei diritti negli anni ormai trascorsi, aiutandoci a comprendere subito in quale drammatico scenario siamo entrati da tempo e dentro quale scenario con effetti ancora più devastanti ci apprestiamo a scivolare.

L’aumento dell’Iva avrà effetto immediato sui beni di consumo di prima necessità, l’ICI sulla prima casa, le tasse locali e le altre forme di tassazione per le spese eroderanno ancora di più quel livello di redistribuzione familiare che colpirà in primis figli e nipoti precari che non potranno più contare su quel minimo indispensabile quando i tempi si fanno neri. Se a questo sommiamo il fatto che molti “precari di

prima generazione”, raggiunta l’età degli ormai 40 anni, hanno deciso che “andando così il mondo in qualche modo bisogna pur vivere” avranno deciso di fare un figlio, si sono voluti assumere il rischio di un mutuo per una casa (visto il costo degli affitti), magari sostenuti in prima battuta proprio dai genitori pensionati (gli unici in grado di garantire ad una banca la richiesta di un mutuo) si capisce in quale baratro si sta scivolando.

Nel 2030, quando il nostro 45enne avrà finalmente l’età per andare in pensione, con i lavori che non ha mai potuto fare, con i contributi che non avrà mai potuto versare, come farà a sostenere il proprio figlio (che oggi potrebbe essere già il 15enne della neet generation) come al contrario fecero i suoi genitori? Ed ancora, le mutazioni delle composizioni della famiglia italiana avvenute in questi anni, rendono già oggi difficile il mantenimento della catena solidaristica familistica. Inoltre non vanno dimenticate le forme di solidarietà sociale, figlie della vecchia classe operaia, che oggi vengono meno proprio a fronte di una scomposizione e di una frammentazione che non garantisce altro esito che solitudini inquietanti disegnando una nuova “folla solitaria” in cerca di opportunità di sopravvivenza oltre le definizioni sociologiche di giovani e meno giovani, o di garantiti e non garantiti. Con il rischio, già evidente nella vulgata dell “immigrato che ruba il lavoro” che dentro questa folla solitaria si inneschi la legge della giungla per accaparrarsi quelle poche occasioni di sopravvivenza che si presentano.

Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani di oggi, i cassaintegrati che tra poco non avranno alcuna forma di sostegno, i precari di prima generazione (quelli tra i 35\50 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 20\35 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate. Se a questa “folla solitaria” dovessimo sommare appunto la generazione neet che nel 2006 contava 860mila giovani e nel 2011 arriva ad oltre 2milioni e mezzo di individui lo scenario, che oggi ci racconta del domani è drammatico. Forse non arriviamo alle cifre indicate dall’Eurostat ma il numero crescente dei nuovi poveri, della massa di persone che vivranno o vivono sotto la soglia della povertà o nella povertà assoluta è allarmante e certo rischia di rendere plausibile la nota proposta dall’ente di statistica europeo del 42% della popolazione a rischio.

Una schiera che si allarga a dismisura, diventando sempre più ampia ed incorporando i nuovi giovani precari, quelli che possiamo definire i “precari di seconda generazione”, costruendo una nuova sedimentazione di precarietà esistenziale e poi di povertà strutturale e che si “ricompongono” non dentro lo sviluppo e la partecipazione ad una società, ma dentro una sorta di “enclave” delle nuove povertà.

La questione è estremamente seria, necessita di un intervento immediato, e ogni giorno che passa non fa altro che aumentare il disastro sociale che stiamo vivendo.

Fare presto

Ma bisogna iniziare subito, a partire dall’introduzione di una misura di reddito garantito, che sia individuale e che garantisca almeno una soglia economica sotto la quale nessuno deve più cadere. Un reddito minimo, fosse anche in prima battuta dentro una versione di ultima istanza, sganciata dal lavoro, cioè non condizionato. Un reddito garantito dunque come misura per la dignità della persona, come sostegno alla sua inclusione nella società e come forma di partecipazione ed inclusione sociale oltre il “lavoro formale”.

La questione del reddito garantito dunque oggi va affrontato con urgenza, i ritardi anche rispetto a quelle misure che molti paesi europei hanno da tempo è enorme. Cosi come è evidente che accanto a questa misura deve iniziare al più presto un grande piano di politica per la casa che rimetta al centro il diritto ad abitare e la facilità di potersi spostare dentro e fuori le città. Se è la crescita che molti indicano come toccasana per la fuoriuscita dalla crisi, questa non può avvenire se non si dotano le persone, i cittadini di quei diritti basici (reddito, casa, trasporti etc.) che gli permettono di affrontare con qualità, dignità e serenità quella quotidiana drammaticità che invece li relega oggi ad essere soggetti ricattabili, non in grado di investire sul futuro perché non in grado di investire sul presente.

Enrico Manfredi- coodinatore SEL Collegno

LA DRAMMATICA URGENZA DEL REDDITO GARANTITO

Il 3 ottobre del 2005 Eurostat lanciava l’allarme sul rischio povertà per le popolazioni europee. Tra queste, uno dei paesi più a rischio risultava essere l’Italia con un dato spaventoso, il 42,5% della popolazione era a rischio povertà negli anni a venire.

Nel 2005 i dati erano già così allarmanti che Eurostat indicava in “interventi e misure di sostegno al reddito” gli strumenti necessari per arginare questo pericoloso abisso sociale.

Ad oggi i dati sulla povertà continuano a non confortarci e quegli anni che allora dovevano venire, oggi si presentano con tutta la loro drammaticità e mostrano come, nel prossimo futuro, quali rischi ci appresteremo a vivere se non riusciamo sin da subito ad intervenire con misure quali appunto un reddito garantito.

Ma quale giovane precario?

Prendiamo un “non più giovane precario” (culturalmente si tende ancora ad immaginare i precari solo in quanto giovani) di circa 45 anni e che dunque negli anni trascorsi (fine 80 e anni 90) è stato quel soggetto inserito nella grande trasformazione del mercato del lavoro in qualità di lavoratore flessibile e precario. Questa persona che potremmo definire “precario di prima generazione” ha accumulato lavori diversi, salari diversi, contratti diversi. Oggi questo soggetto che ha 45 anni non si trova più nella facilità di passare da un lavoro ad un altro, viene “emarginato” anche rispetto alle disponibilità di lavori più dequalificati e dequalificanti, anche la sua “capacità” di muoversi dentro un mercato del lavoro flessibile viene meno. Il suo curriculum è fatto di diverse azioni, di diverse competenze, di diversi settori, un curriculum schizofrenico che racconta di una vita appunto legata più alle occasionalità dei lavori che ad un’unica posizione specifica. Certo, i più fortunati hanno un curriculum che si muove forse dentro “aree lavorative” o settori di riferimento (le ICT per esempio) ma magari con mansioni diverse e tempi esperenziali diversi e che non sempre somigliano alle attuali (prendete ad esempio le competenze necessarie per sviluppare i moderni software tele comunicativi).

Quel 45enne, con la nuova riforma andrà in pensione a 66 anni (presumiamo, non senza dedicare un ghigno un po’ ironico, poichè tra qualche anno un'altra riforma ci potrebbe dire che andrà in pensione a 70\72 anni). Ma quali saranno i calcoli da fare, quali le opportunità che potrà afferrare in un mercato del lavoro così selvaggio, senza garanzia e senza possibilità di volta in volta ad essere “assumibile” dentro la “fluidità e le fluttuazioni” delle opportunità di lavoro nel prossimo presente? Altro che pensione, il problema è come affrontare la quotidianità di un eterno oggi.

Avremmo dunque un soggetto che senza una garanzia, senza più le energie del suo essere stato a venti o trenta anni “precario di prima generazione”, con un’infinita disponibilità in meno di poter essere occupato. Con una infinita disponibilità in meno, proprio in riguardo alla sua dignità personale, cadrà con molta probabilità in quella schiera già ampia dei nuovi poveri.

Fine del welfare familistico

Parliamoci chiaro, il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega sostanziale di occuparsi da parte della famiglia di una redistribuzione del risparmio dimostra come i prossimi tempi saranno più che drammatici per milioni di persone. Inoltre, le misure di ‘contrasto alla crisi’ in atto, in particolare con queste ultime finanziarie, colpiscono proprio l‘ultimo anello, già debole, del risparmio familiare, di quella catena che ha retto faticosamente il peso dello smembramento del lavoro e dei diritti negli anni ormai trascorsi, aiutandoci a comprendere subito in quale drammatico scenario siamo entrati da tempo e dentro quale scenario con effetti ancora più devastanti ci apprestiamo a scivolare.

L’aumento dell’Iva avrà effetto immediato sui beni di consumo di prima necessità, l’ICI sulla prima casa, le tasse locali e le altre forme di tassazione per le spese eroderanno ancora di più quel livello di redistribuzione familiare che colpirà in primis figli e nipoti precari che non potranno più contare su quel minimo indispensabile quando i tempi si fanno neri. Se a questo sommiamo il fatto che molti “precari di

prima generazione”, raggiunta l’età degli ormai 40 anni, hanno deciso che “andando così il mondo in qualche modo bisogna pur vivere” avranno deciso di fare un figlio, si sono voluti assumere il rischio di un mutuo per una casa (visto il costo degli affitti), magari sostenuti in prima battuta proprio dai genitori pensionati (gli unici in grado di garantire ad una banca la richiesta di un mutuo) si capisce in quale baratro si sta scivolando.

Nel 2030, quando il nostro 45enne avrà finalmente l’età per andare in pensione, con i lavori che non ha mai potuto fare, con i contributi che non avrà mai potuto versare, come farà a sostenere il proprio figlio (che oggi potrebbe essere già il 15enne della neet generation) come al contrario fecero i suoi genitori? Ed ancora, le mutazioni delle composizioni della famiglia italiana avvenute in questi anni, rendono già oggi difficile il mantenimento della catena solidaristica familistica. Inoltre non vanno dimenticate le forme di solidarietà sociale, figlie della vecchia classe operaia, che oggi vengono meno proprio a fronte di una scomposizione e di una frammentazione che non garantisce altro esito che solitudini inquietanti disegnando una nuova “folla solitaria” in cerca di opportunità di sopravvivenza oltre le definizioni sociologiche di giovani e meno giovani, o di garantiti e non garantiti. Con il rischio, già evidente nella vulgata dell “immigrato che ruba il lavoro” che dentro questa folla solitaria si inneschi la legge della giungla per accaparrarsi quelle poche occasioni di sopravvivenza che si presentano.

Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani di oggi, i cassaintegrati che tra poco non avranno alcuna forma di sostegno, i precari di prima generazione (quelli tra i 35\50 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 20\35 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate. Se a questa “folla solitaria” dovessimo sommare appunto la generazione neet che nel 2006 contava 860mila giovani e nel 2011 arriva ad oltre 2milioni e mezzo di individui lo scenario, che oggi ci racconta del domani è drammatico. Forse non arriviamo alle cifre indicate dall’Eurostat ma il numero crescente dei nuovi poveri, della massa di persone che vivranno o vivono sotto la soglia della povertà o nella povertà assoluta è allarmante e certo rischia di rendere plausibile la nota proposta dall’ente di statistica europeo del 42% della popolazione a rischio.

Una schiera che si allarga a dismisura, diventando sempre più ampia ed incorporando i nuovi giovani precari, quelli che possiamo definire i “precari di seconda generazione”, costruendo una nuova sedimentazione di precarietà esistenziale e poi di povertà strutturale e che si “ricompongono” non dentro lo sviluppo e la partecipazione ad una società, ma dentro una sorta di “enclave” delle nuove povertà.

La questione è estremamente seria, necessita di un intervento immediato, e ogni giorno che passa non fa altro che aumentare il disastro sociale che stiamo vivendo.

Fare presto

Ma bisogna iniziare subito, a partire dall’introduzione di una misura di reddito garantito, che sia individuale e che garantisca almeno una soglia economica sotto la quale nessuno deve più cadere. Un reddito minimo, fosse anche in prima battuta dentro una versione di ultima istanza, sganciata dal lavoro, cioè non condizionato. Un reddito garantito dunque come misura per la dignità della persona, come sostegno alla sua inclusione nella società e come forma di partecipazione ed inclusione sociale oltre il “lavoro formale”.

La questione del reddito garantito dunque oggi va affrontato con urgenza, i ritardi anche rispetto a quelle misure che molti paesi europei hanno da tempo è enorme. Cosi come è evidente che accanto a questa misura deve iniziare al più presto un grande piano di politica per la casa che rimetta al centro il diritto ad abitare e la facilità di potersi spostare dentro e fuori le città. Se è la crescita che molti indicano come toccasana per la fuoriuscita dalla crisi, questa non può avvenire se non si dotano le persone, i cittadini di quei diritti basici (reddito, casa, trasporti etc.) che gli permettono di affrontare con qualità, dignità e serenità quella quotidiana drammaticità che invece li relega oggi ad essere soggetti ricattabili, non in grado di investire sul futuro perché non in grado di investire sul presente.

Sandro Gobetti

martedì 3 aprile 2012

Assemblea Nazionale delle Donne di SEL

Assemblea Nazionale delle Donne di Sel

Il 2 e 3 marzo si è svolta a Roma, alla Casa delle Donne, l'assemblea nazionale delle donne di SEL. In questi due giorni si è trattato il ruolo della donna all'interno della società, a cominciare dal problema della rappresentanza. Difatti si è molto dibattuto su quale legge potrebbe meglio risolvere il problema della scarsa partecipazione delle donne in politica, posto che le quote rosa sono di per sé un meccanismo umiliante. L'aspetto più triste e paradossale, è che con la legge Porcellum le donne nominate sono numericamente superiori rispetto ad elezioni che si svolgono col meccanismo di preferenza. Certo è che se la rappresentanza femminile è una ex velina come la Carfagna oppure il ministro Fornero che non ha niente della tanto declamata dolcezza femminile, allora forse ne facciamo volentieri a meno.
Un altro argomento di cui si è lungamente parlato è il problema della crisi e della precarietà del lavoro, che purtroppo colpisce più duramente le giovani donne. Insomma, oltre alla grave onta di aver sedotto Adamo con una mela, continuiamo a scontare la colpa di avere un utero e di poter generare nuove vite...peraltro bisognerebbe ricordare agli uomini che loro sono al mondo proprio perché qualcuno ha concesso il periodo di maternità alla loro madre, o eventualmente uno stipendio paterno che permettesse il mantenimento della famiglia. In Italia bisogna dire l'ovvio.
L'ovvietà è stata la parola d'ordine di questi due giorni romani, del ruolo della donna si discute negli stessi termini dagli anni settanta, da quando le femministe hanno vinto qualche battaglia. E poi il nulla, il vuoto cosmico, riflessioni sempre uguali, problemi identici. Questo paese sembra fermo, socialmente e culturalmente, da oltre 40 anni. Quante volte abbiamo sentito parlare di femminismo? Tanto che ormai è stato completamente svuotato di ogni significato. In una nazione che non progredisce, anche i diritti civili sono in stallo. E quindi ci tocca ripetere sempre le stesse cose, come un mantra un po' triste che cade nel vuoto. Ancora le nostre richieste non sono state ascoltate, ancora le nostre proposte non sono state accolte. È vero, noi donne siamo noiose, diciamo sempre le stesse cose, siamo rompine non solo come mamme ma anche come cittadine. Quindi, cari uomini, accontentateci! Dateci ragione come fate tra le mura domestiche per evitare le discussioni! Regalateci con magnanimità almeno un po' di parità! Dateci il contentino! Così finalmente non saremo più costrette a ripetere sempre le stesse cose.

Martina Steinwurzel

domenica 22 gennaio 2012

LA STORIA SIAMO NOI: INTERVISTA AL SENATORE LUCIANO MANZI

Luciano Manzi, ex partigiano, poi funzionario del Partito Comunista, sindaco di Collegno e infine senatore per Rifondazione Comunista e successivamente per il Partito dei Comunisti Italiani, ha dedicato la sua vita all'impegno politico. Potrebbe spiegare, soprattutto per chi appartiene alle nuove generazioni, com'era strutturato e in che modo procedeva il funzionamento del Partito Comunista?

Cominciamo a dire che il Partito Comunista nasce sulla spinta della rivoluzione d'ottobre e nel 1917 si cominciano ad organizzare anche gli operai italiani. In quel periodo, a Torino, Gramsci era segretario della Federazione Socialista, che al suo interno conteneva tre correnti: una di sinistra, una di centro e l'ultima che era più orientata a destra. A quel tempo il sindacato Cgil era organizzato da un importante esponente della corrente che si rifaceva alla destra, per cui Gramsci decide di uscire dal Partito Socialista e con la "scissione del '21" dà vita al Partito Comunista. Nel PCI non esistevano correnti: le discussioni politiche avvenivano all'interno delle riunioni, ma alle votazioni si rimaneva uniti e compatti, altrimenti si rischiava l'espulsione. La dialettica delle idee rimaneva dunque confinata all'interno del Partito, ognuno aveva il diritto e il dovere di portare la propria opinione e battersi per questa, ma non si portava il dibattito all'esterno. Questo metodo è il centralismo democratico. Quello che il PCI aveva capito molto bene è che un Partito non nasce dai dirigenti, ma dalla base, per cui i funzionari si devono impegnare per stabilire contatti con la popolazione. Ad esempio, andavamo davanti alle fabbriche a fare volantinaggio e a parlare con gli operai, e nel corso dei giorni qualcuno di loro si univa a noi. Quando radunavi 4-5 compagni formavi una cellula, che poteva essere di lavoro o di strada, e che poteva arrivare fino a un massimo di 30 persone. Più cellule formavano a loro volta una sezione, la quale aveva un responsabile nominato che formava il direttivo di cellula composto da 2 o 3 compagni. La sezione invitava sempre i responsabili di cellula, dava loro i volantini e diceva di spargere la voce sulle iniziative del Partito. La comunicazione con i funzionari, cioè con il responsabile di zona che organizza i volontari, era molto impotante e durante le pause pranzo di tornava davanti alla fabbrica per parlare con gli oprai e per reclutarne di nuovi. Tutti i funzionari del PCI avevano fatto la gavetta, erano partiti dal bassso, nelle cellule e nelle università: in tutte la associazioni (commercianti, artigiani,sportive) c'erano comunisti, perché bisognava conquistare posizioni di potere. Dopo le cellule conquistavi le zone e, alle riunioni, dopo la terza assenza veniva inviata una lettera di rimprovero. Invece i compagni più meritevoli venivano mandati alla scuola del Partito: c'era la scuola federale (che durava 3 sere a settimana per 2 mesi), il corso regionale (che si teneva sempre nello stesso posto e si viveva lì per 2 o 3 mesi), la scuola nazionale (si tenevano i corsi a Milano o a Roma per 3 mesi) e la conoscenza diretta attraverso i viaggi all'estero (URSS, Albania, Polonia, Cuba, al fine dei quali dovevi presentare una relazione scritta).

Più nello specifico, come si è sviluppato il Partito Comunista Italiano nella città di Collegno?

Negli anni '70 il PCI a Collegno contava 2000 iscirtti, era presente con 14 sezioni, di cui una era degli ambulanti con 200 iscritti, 6-7 erano sezioni di fabbrica e la rimanenti erano sezioni territoriali. Era il gruppo consiliare che esprimeva la forza del partito, di cui il capogruppo era anche il responsabile di zona e aveva preso più voti. Nonostante il partito fosse forte, prendevamo sempre una percentuale che si aggirava intorno al 45%, non abbiamo mai governato da soli per scelta: andavamo sempre insieme ai socialisti, che rappresentavano il 15-20% e al Partito Repubblicano che prendeva il 5-6%. Così dimostravamo anche di essere democratici!

Quali differenze vede tra la classe dirigente di allora e quella di adesso? E come dovrebbero comportarsi i nuovi politici, incluso Vendola?

Purtroppo ora non esiste un Partito serio con un'unica linea politica, ma sono un insieme di persone in buona fede che vogliono comandare, ma che mettono sempre loro stesse prima del Partito. Nel PCI il primo obiettivo era la giustizia sociale, ora non è più così. Ad esempio, sia in ambito locale che nazionale, il Partito Democratico è stato fallimentare. La sua classe dirigente l'aveva immaginato come un nuovo socialismo di sinistra, ma non ha capito che la borghesia, da smepre di destra, ha bisogno di un nemico. Concetto che, invece, ha intuito molto bene Berlusconi e infatti ha usato la propaganda contro i comunisti per ingraziarsi il ceto borghese. L'apertura ai democristiani che ha tentato il PD è stata la loro rovina, perché prima erano un blocco compatto, ora si sono completamente divisi in molte correnti. Anche Sinistra Ecologia e Libertà in questo senso, è uguale al PD, perché per ora è composto da ex militanti di Rifondazione Comunista, Democratici di Sinistra, Partito dei Comunisti Italianie poi, per fortuna, ci sono anche persone nuove. In un Partito serio il centralismo democratico è determinante, però chi comanda deve dialogare con tutti, vagliare tutte le proposte, ma deve avere il coraggio di fare fuori le mele marce.

Negli ultimi anni abbiamo assistito sempre di più ad una presa di coscienza della società civile che si è organizzata in movimenti, mi vengono in mente "il popolo viola", le donne di "se non ora quando" e i comitati del referendum sull'acqua e sul bene pubblico. Cosa dovrebbe fare SEL per intercettarli e rendersi una guida credibile?

Il Partito dovrebbe orientare il malcontento, perché i partiti servono a guidare le proteste e non a seguie passivamente le situazioni. Per questo deve, prima di tutto, fare delle proposte politiche, che siano serie e credibili.

Quali consigli si sente di dare ai giovani che si approcciano ora alla politica?

Non devono pensare che la politica sia una cosa sporca, anche lo può diventare a seconda del partito in cui sei e delle persone che hai intorno. Non devono mai farsi influenzare dalle correnti, ma cercare sempre l'unità. E poi devono essere creativi, tirare fuori nuove idee e mettersi in gioco in prima persona.

giovedì 12 gennaio 2012

NICK O' MERICANO

Nick o' Mericano, è questo il soprannome con cui è conosciuto Nicola Cosentino nella sua terra natia, il casalese. Secondo l'accusa Cosentino è in contatto con il Clan dei Casalesi e, grazie al suo peso politico, avrebbe favorito l'organizzazione camorristica negli affari. Un uomo d'onore, insomma. E' inoltre accusato di riciclaggio, falso, corruzione e violazione delle norme bancarie. Un gentiluomo.
Non esiste alcuna ragione per cui non bisognerebbe procedere al suo arresto. Invece oggi il Parlamento ha sancito che "tutti gli animali sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri": il lato tragicomico è che questo motto sia stato applicato ad uno dei fondatori del partito più anti-comunista di tutti, Forza Italia.
Si è stabilito che la legge non è uguale per tutti, che non è applicata in maniera equa, che se sei potente e hai amici molto in alto te la cavi sempre.
Si è stabilito che i giudici sono una seccatura di cui liberarsi il prima possibile, in barba alle misure legali che procederebbero inesorabili per i figli degli operai.
Si è stabilito che essere accusato di favoreggiamento alla criminalità organizzata, non è un motivo sufficiente per essere arrestati. Così come non è bastato tirare fuori dalle beghe una prostituta minorenne che frequentava la casa del Presidente del Consiglio.
Si è stabilito che la galera è un luogo che deve essere popolato solo da immigrati, il cui unico peccato è di non avere il permesso di soggiorno, mentre un parlamentare deve essere servito e riverito almeno fino al terzo grado di giudizio, se non addirittura oltre.
E tutto questo è stato possibile grazie ai voti di importanti ed autorevoli intellettuali e lorsignori che solo qualche mese fa hanno degradato il Parlamento alla squallida commercializzazione di voti.
Si spera che questo sia l'ultimo danno che il peggior ex presidente del consiglio abbia fatto.