"Ci vuole cultura e struttura. Ci vuole un’organizzazione, radicata e flessibile, giovane e coraggiosa: un soggetto politico che si metta in rete con tutte le esperienze innovative, e che tessa il filo delle idee e delle passioni autentiche. " (dal Manifesto fondativo di Sinistra Ecologia Libertà)
sabato 28 aprile 2012
HOLLANDE O MONTI! BERSANI DECIDA
Intervista di Daniela Preziosi a Nichi Vendola su "Il Manifesto" 25/04/2012
Vendola: «A Firenze per approfondire, pronti a interloquire con il 'soggetto politico nuovo'» «Il leader Pd parla di Italia bene comune? Difenda il paese dal rigorismo. E ascolti: il governo ha fallito, il prezzo rischia di pagarlo il centrosinistra»
La discussione italiana sulla vittoria di Hollande, dice Nichi Vendola al telefono, dalla macchina con cui in questi giorni sta girando l'Italia per la campagna elettorale ogni volta che può lasciare la Puglia, «è tutta allusiva e simbolica, non considera i programmi. C'è la gara a intestarsela, fino persino all'hollandismo di Tremonti. Non ci si accorge che il profilo politico-programmatico di Monti è quanto di più distante da Hollande. È anche un po' più a destra di Sarkozy. E questo perché i politici liberisti, a differenza dei tecnici liberisti, un qualche problema di rapporto con il welfare ce l'hanno. Le cose che dice Hollande, per esempio la tassazione dei patrimoni, l'abbassamento dell'età pensionabile, la rinegoziazione del fiscal compact, in Italia sarebbero definite 'una deriva estremistica'».
Sta dicendo che Bersani dovrebbe decidere se stare con Hollande o con Monti?
Dobbiamo riflettere sul Front national, su quei 6 milioni e mezzo che hanno scelto la politica della collera e del sentimento. Anche in Italia siamo in presenza di una miscela esplosiva: recessione senza un varco di luce, disoccupazione di massa, crollo di credibilità dei partiti. A Bersani dico: le ricette del governo Monti si rivelano un fallimento, e il prezzo può essere messo per intero sulle spalle del centrosinistra. Occorre dare un segnale forte, non con la politica-spettacolo o con il marketing elettorale. Occorre convocare gli stati generali del futuro con tutti i soggetti portatori di domanda di alternativa. I partiti del centrosinistra debbono mobilitare tutte le forze in campo, connettersi ai mondi che nell'associazionismo, nel volontariato, nell'intellettualità, nell'università, nella fabbrica, nelle reti degli amministratori, provano a ragionare sull'uscita dal liberismo.
Oggi Bersani dice: sì a ratificare il fiscal compact, purché integrato con politiche di crescita.
Io sottoscrivo il programma di Hollande che critica il dogma liberista. Che comanda, per esempio, agli stati nazionali di mettere in Costituzione il pareggio di bilancio.
Altro provvedimento a cui il Pd ha detto sì.
Errore gravissimo. E comunque ormai è evidente che le ricette dell'austerità sono catastrofiche. Portano alla Grecia, un paese che dopo gli incalzanti salassi sociali ed economici si ritrova con un debito doppio rispetto all'inizio della crisi. Infatti è scomparsa dai Tg. Molti si vergognerebbero di parlarne.
In Francia Mélenchon dice cose simili a queste, sulla Grecia.
Mélenchon ha fatto un risultato importante. Ma la mia priorità è l'idea di invertire la tendenza in Europa. Puntando sul fatto che le sinistra in Europa cominciano a mettere a tema la fuoriuscita dal liberismo. L'Italia è in ritardo. Se io dicessi le cose che dice un premio Nobel come Paul Krugman, qualche cicisbeo presunto progressista mi taccerebbe di radicalismo.
Questi suoi stati generali sono parenti del soggetto politico nuovo che farà la sua prima assemblea a Firenze sabato prossimo?
Sel è nata sulla pratica di una ricerca senza paletti, nominando l'inadeguatezza della forma partito, inclusa la propria. Sono interessato al soggetto nuovo. Chi lo promuove ragiona in chiave metodologica e con molti argomenti, alcuni dei quali condivisbili, altri meritevoli di approfondimento. Un asse culturale che Rossana Rossanda ha criticato con veemenza, segnalando uno scivolamento fuori dalla centralità della questione del lavoro.
La pensa anche lei così?
Voglio discuterne. A Firenze non ci sarò, in questi giorni sono in campagna elettorale. Ma Sel ci sarà. Ascolteremo, parleremo. Vogliamo essere interlocutori. Lo siamo sempre di chi si chiede come aggregare forze, energie, massa critica di esperienze e desideri per mettere in campo una sinistra libertaria, non testimoniale e anche affascinata dalla sfida del governo.
Ma l'obiettivo di Sel resta quello di un'alleanza più vasta?
Al centro della costruzione dell'alleanza bisogna metterci che Italia vogliamo. Occorre un supplemento di riflessione a proposito dei moderati e del moderatismo, categorie assunte dalla discussione pubblica alla stregua di formule magiche. La realtà ci dice che non ci sono più spazi di compromesso con il liberismo, e che il liberismo è una minaccia per gli equilibri ambientali, sociali e democratici.
La campagna delle amministrative del Pd si intitola «Italia bene comune». I «beni comuni», asset programmatico del «soggetto politico nuovo» fanno nuovi adepti, oppure Bersani si è appropriato di uno slogan che funziona?
Sono contento dell'arricchirsi del vocabolario del centrosinistra. Ma se il lavoro è un bene comune bisogna lottare contro la legge 30 e in difesa dell'art.18. E se l'Italia è un bene comune bisogna salvarla dal rigorismo furioso di chi la sta portando in una drammatica depressione economica. E bisogna avere il coraggio di imporre la tassazione patrimoniale sui grandi redditi e le grandi ricchezze. Non è possibile ascoltare da un esponente del governo che 'la patrimoniale l'abbiamo già fatta con l'Imu', come ha detto il viceministro Grilli. Quella è la patrimoniale sui ceti medio-bassi: ma ne aveva già fatte Berlusconi.
Il manifesto del 'soggetto nuovo' fa una dura critica ai partiti. La sentite anche su di voi?
Siamo un 'soggetto', non gonfio di boria di partito, nato tematizzando la necessità della ricerca per un nuovo soggetto politico. L'obiettivo di Sel non è Sel, è contribuire alla nascita di una sinistra popolare, plurale, innovativa. Possiamo portare un contributo. Intanto dicendo che i rischi da evitare sono due: un dibattito tutto metodologico e le scorciatoie organizzativistiche.
Fate parte di un'area, un 'quarto polo' in cerca, come dice Arturo Parisi, di un nuovo Prodi?
Abbiamo bisogno di leader e non di leaderismo. Di progetti collettivi più che di demiurghi. Il carisma necessario al cambiamento dev'essere quello della democrazia, non quello delle virtù individuali.
Il Bersani che ha appoggiato Monti ma ora tifa per Hollande è ancora l'uomo giusto per guidare la prossima alleanza di centrosinistra?
Bersani è un interlocutore prezioso, il popolo democratico è fondamentale per la prospettiva di alternativa di governo. L'alleanza non è un fermo-immagine, è un processo politico. Come è successo nei referendum, l'irruzione di un protagonismo largo e orizzontale può spostare in avanti l'asse programmatico e culturale di una coalizione. Per questo parlo di stati generali del futuro. Anche il centrosinistra ha bisogno di proiettarsi nel futuro.
Berlusconi dice che la sinistra, intendendo però Bersani, vuole andare al voto a ottobre senza fare nuova legge elettorale. A lei l'idea non dispiacerebbe.
A proposito della legge elettorale, ricordo che il mestiere della politica non è quello del Gattopardo. Quanto al voto, l'inconcludenza del governo Monti dal punto di vista delle politiche di sviluppo e di crescita, e la pesantezza depressiva delle sue scelte, implementa la sofferenza del paese. Prima si interrompe quest'esperienza meglio è.
mercoledì 18 aprile 2012
A DIFESA DEI BENI PUBBLICI E DELL'OCCUPAZIONE
Il 3 ottobre del 2005 Eurostat lanciava l’allarme sul rischio povertà per le popolazioni europee. Tra queste, uno dei paesi più a rischio risultava essere l’Italia con un dato spaventoso, il 42,5% della popolazione era a rischio povertà negli anni a venire.
Nel 2005 i dati erano già così allarmanti che Eurostat indicava in “interventi e misure di sostegno al reddito” gli strumenti necessari per arginare questo pericoloso abisso sociale.
Ad oggi i dati sulla povertà continuano a non confortarci e quegli anni che allora dovevano venire, oggi si presentano con tutta la loro drammaticità e mostrano come, nel prossimo futuro, quali rischi ci appresteremo a vivere se non riusciamo sin da subito ad intervenire con misure quali appunto un reddito garantito.
Ma quale giovane precario?
Prendiamo un “non più giovane precario” (culturalmente si tende ancora ad immaginare i precari solo in quanto giovani) di circa 45 anni e che dunque negli anni trascorsi (fine 80 e anni 90) è stato quel soggetto inserito nella grande trasformazione del mercato del lavoro in qualità di lavoratore flessibile e precario. Questa persona che potremmo definire “precario di prima generazione” ha accumulato lavori diversi, salari diversi, contratti diversi. Oggi questo soggetto che ha 45 anni non si trova più nella facilità di passare da un lavoro ad un altro, viene “emarginato” anche rispetto alle disponibilità di lavori più dequalificati e dequalificanti, anche la sua “capacità” di muoversi dentro un mercato del lavoro flessibile viene meno. Il suo curriculum è fatto di diverse azioni, di diverse competenze, di diversi settori, un curriculum schizofrenico che racconta di una vita appunto legata più alle occasionalità dei lavori che ad un’unica posizione specifica. Certo, i più fortunati hanno un curriculum che si muove forse dentro “aree lavorative” o settori di riferimento (le ICT per esempio) ma magari con mansioni diverse e tempi esperenziali diversi e che non sempre somigliano alle attuali (prendete ad esempio le competenze necessarie per sviluppare i moderni software tele comunicativi).
Quel 45enne, con la nuova riforma andrà in pensione a 66 anni (presumiamo, non senza dedicare un ghigno un po’ ironico, poichè tra qualche anno un'altra riforma ci potrebbe dire che andrà in pensione a 70\72 anni). Ma quali saranno i calcoli da fare, quali le opportunità che potrà afferrare in un mercato del lavoro così selvaggio, senza garanzia e senza possibilità di volta in volta ad essere “assumibile” dentro la “fluidità e le fluttuazioni” delle opportunità di lavoro nel prossimo presente? Altro che pensione, il problema è come affrontare la quotidianità di un eterno oggi.
Avremmo dunque un soggetto che senza una garanzia, senza più le energie del suo essere stato a venti o trenta anni “precario di prima generazione”, con un’infinita disponibilità in meno di poter essere occupato. Con una infinita disponibilità in meno, proprio in riguardo alla sua dignità personale, cadrà con molta probabilità in quella schiera già ampia dei nuovi poveri.
Fine del welfare familistico
Parliamoci chiaro, il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega sostanziale di occuparsi da parte della famiglia di una redistribuzione del risparmio dimostra come i prossimi tempi saranno più che drammatici per milioni di persone. Inoltre, le misure di ‘contrasto alla crisi’ in atto, in particolare con queste ultime finanziarie, colpiscono proprio l‘ultimo anello, già debole, del risparmio familiare, di quella catena che ha retto faticosamente il peso dello smembramento del lavoro e dei diritti negli anni ormai trascorsi, aiutandoci a comprendere subito in quale drammatico scenario siamo entrati da tempo e dentro quale scenario con effetti ancora più devastanti ci apprestiamo a scivolare.
L’aumento dell’Iva avrà effetto immediato sui beni di consumo di prima necessità, l’ICI sulla prima casa, le tasse locali e le altre forme di tassazione per le spese eroderanno ancora di più quel livello di redistribuzione familiare che colpirà in primis figli e nipoti precari che non potranno più contare su quel minimo indispensabile quando i tempi si fanno neri. Se a questo sommiamo il fatto che molti “precari di
prima generazione”, raggiunta l’età degli ormai 40 anni, hanno deciso che “andando così il mondo in qualche modo bisogna pur vivere” avranno deciso di fare un figlio, si sono voluti assumere il rischio di un mutuo per una casa (visto il costo degli affitti), magari sostenuti in prima battuta proprio dai genitori pensionati (gli unici in grado di garantire ad una banca la richiesta di un mutuo) si capisce in quale baratro si sta scivolando.
Nel 2030, quando il nostro 45enne avrà finalmente l’età per andare in pensione, con i lavori che non ha mai potuto fare, con i contributi che non avrà mai potuto versare, come farà a sostenere il proprio figlio (che oggi potrebbe essere già il 15enne della neet generation) come al contrario fecero i suoi genitori? Ed ancora, le mutazioni delle composizioni della famiglia italiana avvenute in questi anni, rendono già oggi difficile il mantenimento della catena solidaristica familistica. Inoltre non vanno dimenticate le forme di solidarietà sociale, figlie della vecchia classe operaia, che oggi vengono meno proprio a fronte di una scomposizione e di una frammentazione che non garantisce altro esito che solitudini inquietanti disegnando una nuova “folla solitaria” in cerca di opportunità di sopravvivenza oltre le definizioni sociologiche di giovani e meno giovani, o di garantiti e non garantiti. Con il rischio, già evidente nella vulgata dell “immigrato che ruba il lavoro” che dentro questa folla solitaria si inneschi la legge della giungla per accaparrarsi quelle poche occasioni di sopravvivenza che si presentano.
Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani di oggi, i cassaintegrati che tra poco non avranno alcuna forma di sostegno, i precari di prima generazione (quelli tra i 35\50 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 20\35 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate. Se a questa “folla solitaria” dovessimo sommare appunto la generazione neet che nel 2006 contava 860mila giovani e nel 2011 arriva ad oltre 2milioni e mezzo di individui lo scenario, che oggi ci racconta del domani è drammatico. Forse non arriviamo alle cifre indicate dall’Eurostat ma il numero crescente dei nuovi poveri, della massa di persone che vivranno o vivono sotto la soglia della povertà o nella povertà assoluta è allarmante e certo rischia di rendere plausibile la nota proposta dall’ente di statistica europeo del 42% della popolazione a rischio.
Una schiera che si allarga a dismisura, diventando sempre più ampia ed incorporando i nuovi giovani precari, quelli che possiamo definire i “precari di seconda generazione”, costruendo una nuova sedimentazione di precarietà esistenziale e poi di povertà strutturale e che si “ricompongono” non dentro lo sviluppo e la partecipazione ad una società, ma dentro una sorta di “enclave” delle nuove povertà.
La questione è estremamente seria, necessita di un intervento immediato, e ogni giorno che passa non fa altro che aumentare il disastro sociale che stiamo vivendo.
Fare presto
Ma bisogna iniziare subito, a partire dall’introduzione di una misura di reddito garantito, che sia individuale e che garantisca almeno una soglia economica sotto la quale nessuno deve più cadere. Un reddito minimo, fosse anche in prima battuta dentro una versione di ultima istanza, sganciata dal lavoro, cioè non condizionato. Un reddito garantito dunque come misura per la dignità della persona, come sostegno alla sua inclusione nella società e come forma di partecipazione ed inclusione sociale oltre il “lavoro formale”.
La questione del reddito garantito dunque oggi va affrontato con urgenza, i ritardi anche rispetto a quelle misure che molti paesi europei hanno da tempo è enorme. Cosi come è evidente che accanto a questa misura deve iniziare al più presto un grande piano di politica per la casa che rimetta al centro il diritto ad abitare e la facilità di potersi spostare dentro e fuori le città. Se è la crescita che molti indicano come toccasana per la fuoriuscita dalla crisi, questa non può avvenire se non si dotano le persone, i cittadini di quei diritti basici (reddito, casa, trasporti etc.) che gli permettono di affrontare con qualità, dignità e serenità quella quotidiana drammaticità che invece li relega oggi ad essere soggetti ricattabili, non in grado di investire sul futuro perché non in grado di investire sul presente.
Enrico Manfredi- coodinatore SEL Collegno
Nel 2005 i dati erano già così allarmanti che Eurostat indicava in “interventi e misure di sostegno al reddito” gli strumenti necessari per arginare questo pericoloso abisso sociale.
Ad oggi i dati sulla povertà continuano a non confortarci e quegli anni che allora dovevano venire, oggi si presentano con tutta la loro drammaticità e mostrano come, nel prossimo futuro, quali rischi ci appresteremo a vivere se non riusciamo sin da subito ad intervenire con misure quali appunto un reddito garantito.
Ma quale giovane precario?
Prendiamo un “non più giovane precario” (culturalmente si tende ancora ad immaginare i precari solo in quanto giovani) di circa 45 anni e che dunque negli anni trascorsi (fine 80 e anni 90) è stato quel soggetto inserito nella grande trasformazione del mercato del lavoro in qualità di lavoratore flessibile e precario. Questa persona che potremmo definire “precario di prima generazione” ha accumulato lavori diversi, salari diversi, contratti diversi. Oggi questo soggetto che ha 45 anni non si trova più nella facilità di passare da un lavoro ad un altro, viene “emarginato” anche rispetto alle disponibilità di lavori più dequalificati e dequalificanti, anche la sua “capacità” di muoversi dentro un mercato del lavoro flessibile viene meno. Il suo curriculum è fatto di diverse azioni, di diverse competenze, di diversi settori, un curriculum schizofrenico che racconta di una vita appunto legata più alle occasionalità dei lavori che ad un’unica posizione specifica. Certo, i più fortunati hanno un curriculum che si muove forse dentro “aree lavorative” o settori di riferimento (le ICT per esempio) ma magari con mansioni diverse e tempi esperenziali diversi e che non sempre somigliano alle attuali (prendete ad esempio le competenze necessarie per sviluppare i moderni software tele comunicativi).
Quel 45enne, con la nuova riforma andrà in pensione a 66 anni (presumiamo, non senza dedicare un ghigno un po’ ironico, poichè tra qualche anno un'altra riforma ci potrebbe dire che andrà in pensione a 70\72 anni). Ma quali saranno i calcoli da fare, quali le opportunità che potrà afferrare in un mercato del lavoro così selvaggio, senza garanzia e senza possibilità di volta in volta ad essere “assumibile” dentro la “fluidità e le fluttuazioni” delle opportunità di lavoro nel prossimo presente? Altro che pensione, il problema è come affrontare la quotidianità di un eterno oggi.
Avremmo dunque un soggetto che senza una garanzia, senza più le energie del suo essere stato a venti o trenta anni “precario di prima generazione”, con un’infinita disponibilità in meno di poter essere occupato. Con una infinita disponibilità in meno, proprio in riguardo alla sua dignità personale, cadrà con molta probabilità in quella schiera già ampia dei nuovi poveri.
Fine del welfare familistico
Parliamoci chiaro, il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega sostanziale di occuparsi da parte della famiglia di una redistribuzione del risparmio dimostra come i prossimi tempi saranno più che drammatici per milioni di persone. Inoltre, le misure di ‘contrasto alla crisi’ in atto, in particolare con queste ultime finanziarie, colpiscono proprio l‘ultimo anello, già debole, del risparmio familiare, di quella catena che ha retto faticosamente il peso dello smembramento del lavoro e dei diritti negli anni ormai trascorsi, aiutandoci a comprendere subito in quale drammatico scenario siamo entrati da tempo e dentro quale scenario con effetti ancora più devastanti ci apprestiamo a scivolare.
L’aumento dell’Iva avrà effetto immediato sui beni di consumo di prima necessità, l’ICI sulla prima casa, le tasse locali e le altre forme di tassazione per le spese eroderanno ancora di più quel livello di redistribuzione familiare che colpirà in primis figli e nipoti precari che non potranno più contare su quel minimo indispensabile quando i tempi si fanno neri. Se a questo sommiamo il fatto che molti “precari di
prima generazione”, raggiunta l’età degli ormai 40 anni, hanno deciso che “andando così il mondo in qualche modo bisogna pur vivere” avranno deciso di fare un figlio, si sono voluti assumere il rischio di un mutuo per una casa (visto il costo degli affitti), magari sostenuti in prima battuta proprio dai genitori pensionati (gli unici in grado di garantire ad una banca la richiesta di un mutuo) si capisce in quale baratro si sta scivolando.
Nel 2030, quando il nostro 45enne avrà finalmente l’età per andare in pensione, con i lavori che non ha mai potuto fare, con i contributi che non avrà mai potuto versare, come farà a sostenere il proprio figlio (che oggi potrebbe essere già il 15enne della neet generation) come al contrario fecero i suoi genitori? Ed ancora, le mutazioni delle composizioni della famiglia italiana avvenute in questi anni, rendono già oggi difficile il mantenimento della catena solidaristica familistica. Inoltre non vanno dimenticate le forme di solidarietà sociale, figlie della vecchia classe operaia, che oggi vengono meno proprio a fronte di una scomposizione e di una frammentazione che non garantisce altro esito che solitudini inquietanti disegnando una nuova “folla solitaria” in cerca di opportunità di sopravvivenza oltre le definizioni sociologiche di giovani e meno giovani, o di garantiti e non garantiti. Con il rischio, già evidente nella vulgata dell “immigrato che ruba il lavoro” che dentro questa folla solitaria si inneschi la legge della giungla per accaparrarsi quelle poche occasioni di sopravvivenza che si presentano.
Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani di oggi, i cassaintegrati che tra poco non avranno alcuna forma di sostegno, i precari di prima generazione (quelli tra i 35\50 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 20\35 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate. Se a questa “folla solitaria” dovessimo sommare appunto la generazione neet che nel 2006 contava 860mila giovani e nel 2011 arriva ad oltre 2milioni e mezzo di individui lo scenario, che oggi ci racconta del domani è drammatico. Forse non arriviamo alle cifre indicate dall’Eurostat ma il numero crescente dei nuovi poveri, della massa di persone che vivranno o vivono sotto la soglia della povertà o nella povertà assoluta è allarmante e certo rischia di rendere plausibile la nota proposta dall’ente di statistica europeo del 42% della popolazione a rischio.
Una schiera che si allarga a dismisura, diventando sempre più ampia ed incorporando i nuovi giovani precari, quelli che possiamo definire i “precari di seconda generazione”, costruendo una nuova sedimentazione di precarietà esistenziale e poi di povertà strutturale e che si “ricompongono” non dentro lo sviluppo e la partecipazione ad una società, ma dentro una sorta di “enclave” delle nuove povertà.
La questione è estremamente seria, necessita di un intervento immediato, e ogni giorno che passa non fa altro che aumentare il disastro sociale che stiamo vivendo.
Fare presto
Ma bisogna iniziare subito, a partire dall’introduzione di una misura di reddito garantito, che sia individuale e che garantisca almeno una soglia economica sotto la quale nessuno deve più cadere. Un reddito minimo, fosse anche in prima battuta dentro una versione di ultima istanza, sganciata dal lavoro, cioè non condizionato. Un reddito garantito dunque come misura per la dignità della persona, come sostegno alla sua inclusione nella società e come forma di partecipazione ed inclusione sociale oltre il “lavoro formale”.
La questione del reddito garantito dunque oggi va affrontato con urgenza, i ritardi anche rispetto a quelle misure che molti paesi europei hanno da tempo è enorme. Cosi come è evidente che accanto a questa misura deve iniziare al più presto un grande piano di politica per la casa che rimetta al centro il diritto ad abitare e la facilità di potersi spostare dentro e fuori le città. Se è la crescita che molti indicano come toccasana per la fuoriuscita dalla crisi, questa non può avvenire se non si dotano le persone, i cittadini di quei diritti basici (reddito, casa, trasporti etc.) che gli permettono di affrontare con qualità, dignità e serenità quella quotidiana drammaticità che invece li relega oggi ad essere soggetti ricattabili, non in grado di investire sul futuro perché non in grado di investire sul presente.
Enrico Manfredi- coodinatore SEL Collegno
LA DRAMMATICA URGENZA DEL REDDITO GARANTITO
Il 3 ottobre del 2005 Eurostat lanciava l’allarme sul rischio povertà per le popolazioni europee. Tra queste, uno dei paesi più a rischio risultava essere l’Italia con un dato spaventoso, il 42,5% della popolazione era a rischio povertà negli anni a venire.
Nel 2005 i dati erano già così allarmanti che Eurostat indicava in “interventi e misure di sostegno al reddito” gli strumenti necessari per arginare questo pericoloso abisso sociale.
Ad oggi i dati sulla povertà continuano a non confortarci e quegli anni che allora dovevano venire, oggi si presentano con tutta la loro drammaticità e mostrano come, nel prossimo futuro, quali rischi ci appresteremo a vivere se non riusciamo sin da subito ad intervenire con misure quali appunto un reddito garantito.
Ma quale giovane precario?
Prendiamo un “non più giovane precario” (culturalmente si tende ancora ad immaginare i precari solo in quanto giovani) di circa 45 anni e che dunque negli anni trascorsi (fine 80 e anni 90) è stato quel soggetto inserito nella grande trasformazione del mercato del lavoro in qualità di lavoratore flessibile e precario. Questa persona che potremmo definire “precario di prima generazione” ha accumulato lavori diversi, salari diversi, contratti diversi. Oggi questo soggetto che ha 45 anni non si trova più nella facilità di passare da un lavoro ad un altro, viene “emarginato” anche rispetto alle disponibilità di lavori più dequalificati e dequalificanti, anche la sua “capacità” di muoversi dentro un mercato del lavoro flessibile viene meno. Il suo curriculum è fatto di diverse azioni, di diverse competenze, di diversi settori, un curriculum schizofrenico che racconta di una vita appunto legata più alle occasionalità dei lavori che ad un’unica posizione specifica. Certo, i più fortunati hanno un curriculum che si muove forse dentro “aree lavorative” o settori di riferimento (le ICT per esempio) ma magari con mansioni diverse e tempi esperenziali diversi e che non sempre somigliano alle attuali (prendete ad esempio le competenze necessarie per sviluppare i moderni software tele comunicativi).
Quel 45enne, con la nuova riforma andrà in pensione a 66 anni (presumiamo, non senza dedicare un ghigno un po’ ironico, poichè tra qualche anno un'altra riforma ci potrebbe dire che andrà in pensione a 70\72 anni). Ma quali saranno i calcoli da fare, quali le opportunità che potrà afferrare in un mercato del lavoro così selvaggio, senza garanzia e senza possibilità di volta in volta ad essere “assumibile” dentro la “fluidità e le fluttuazioni” delle opportunità di lavoro nel prossimo presente? Altro che pensione, il problema è come affrontare la quotidianità di un eterno oggi.
Avremmo dunque un soggetto che senza una garanzia, senza più le energie del suo essere stato a venti o trenta anni “precario di prima generazione”, con un’infinita disponibilità in meno di poter essere occupato. Con una infinita disponibilità in meno, proprio in riguardo alla sua dignità personale, cadrà con molta probabilità in quella schiera già ampia dei nuovi poveri.
Fine del welfare familistico
Parliamoci chiaro, il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega sostanziale di occuparsi da parte della famiglia di una redistribuzione del risparmio dimostra come i prossimi tempi saranno più che drammatici per milioni di persone. Inoltre, le misure di ‘contrasto alla crisi’ in atto, in particolare con queste ultime finanziarie, colpiscono proprio l‘ultimo anello, già debole, del risparmio familiare, di quella catena che ha retto faticosamente il peso dello smembramento del lavoro e dei diritti negli anni ormai trascorsi, aiutandoci a comprendere subito in quale drammatico scenario siamo entrati da tempo e dentro quale scenario con effetti ancora più devastanti ci apprestiamo a scivolare.
L’aumento dell’Iva avrà effetto immediato sui beni di consumo di prima necessità, l’ICI sulla prima casa, le tasse locali e le altre forme di tassazione per le spese eroderanno ancora di più quel livello di redistribuzione familiare che colpirà in primis figli e nipoti precari che non potranno più contare su quel minimo indispensabile quando i tempi si fanno neri. Se a questo sommiamo il fatto che molti “precari di
prima generazione”, raggiunta l’età degli ormai 40 anni, hanno deciso che “andando così il mondo in qualche modo bisogna pur vivere” avranno deciso di fare un figlio, si sono voluti assumere il rischio di un mutuo per una casa (visto il costo degli affitti), magari sostenuti in prima battuta proprio dai genitori pensionati (gli unici in grado di garantire ad una banca la richiesta di un mutuo) si capisce in quale baratro si sta scivolando.
Nel 2030, quando il nostro 45enne avrà finalmente l’età per andare in pensione, con i lavori che non ha mai potuto fare, con i contributi che non avrà mai potuto versare, come farà a sostenere il proprio figlio (che oggi potrebbe essere già il 15enne della neet generation) come al contrario fecero i suoi genitori? Ed ancora, le mutazioni delle composizioni della famiglia italiana avvenute in questi anni, rendono già oggi difficile il mantenimento della catena solidaristica familistica. Inoltre non vanno dimenticate le forme di solidarietà sociale, figlie della vecchia classe operaia, che oggi vengono meno proprio a fronte di una scomposizione e di una frammentazione che non garantisce altro esito che solitudini inquietanti disegnando una nuova “folla solitaria” in cerca di opportunità di sopravvivenza oltre le definizioni sociologiche di giovani e meno giovani, o di garantiti e non garantiti. Con il rischio, già evidente nella vulgata dell “immigrato che ruba il lavoro” che dentro questa folla solitaria si inneschi la legge della giungla per accaparrarsi quelle poche occasioni di sopravvivenza che si presentano.
Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani di oggi, i cassaintegrati che tra poco non avranno alcuna forma di sostegno, i precari di prima generazione (quelli tra i 35\50 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 20\35 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate. Se a questa “folla solitaria” dovessimo sommare appunto la generazione neet che nel 2006 contava 860mila giovani e nel 2011 arriva ad oltre 2milioni e mezzo di individui lo scenario, che oggi ci racconta del domani è drammatico. Forse non arriviamo alle cifre indicate dall’Eurostat ma il numero crescente dei nuovi poveri, della massa di persone che vivranno o vivono sotto la soglia della povertà o nella povertà assoluta è allarmante e certo rischia di rendere plausibile la nota proposta dall’ente di statistica europeo del 42% della popolazione a rischio.
Una schiera che si allarga a dismisura, diventando sempre più ampia ed incorporando i nuovi giovani precari, quelli che possiamo definire i “precari di seconda generazione”, costruendo una nuova sedimentazione di precarietà esistenziale e poi di povertà strutturale e che si “ricompongono” non dentro lo sviluppo e la partecipazione ad una società, ma dentro una sorta di “enclave” delle nuove povertà.
La questione è estremamente seria, necessita di un intervento immediato, e ogni giorno che passa non fa altro che aumentare il disastro sociale che stiamo vivendo.
Fare presto
Ma bisogna iniziare subito, a partire dall’introduzione di una misura di reddito garantito, che sia individuale e che garantisca almeno una soglia economica sotto la quale nessuno deve più cadere. Un reddito minimo, fosse anche in prima battuta dentro una versione di ultima istanza, sganciata dal lavoro, cioè non condizionato. Un reddito garantito dunque come misura per la dignità della persona, come sostegno alla sua inclusione nella società e come forma di partecipazione ed inclusione sociale oltre il “lavoro formale”.
La questione del reddito garantito dunque oggi va affrontato con urgenza, i ritardi anche rispetto a quelle misure che molti paesi europei hanno da tempo è enorme. Cosi come è evidente che accanto a questa misura deve iniziare al più presto un grande piano di politica per la casa che rimetta al centro il diritto ad abitare e la facilità di potersi spostare dentro e fuori le città. Se è la crescita che molti indicano come toccasana per la fuoriuscita dalla crisi, questa non può avvenire se non si dotano le persone, i cittadini di quei diritti basici (reddito, casa, trasporti etc.) che gli permettono di affrontare con qualità, dignità e serenità quella quotidiana drammaticità che invece li relega oggi ad essere soggetti ricattabili, non in grado di investire sul futuro perché non in grado di investire sul presente.
Sandro Gobetti
Nel 2005 i dati erano già così allarmanti che Eurostat indicava in “interventi e misure di sostegno al reddito” gli strumenti necessari per arginare questo pericoloso abisso sociale.
Ad oggi i dati sulla povertà continuano a non confortarci e quegli anni che allora dovevano venire, oggi si presentano con tutta la loro drammaticità e mostrano come, nel prossimo futuro, quali rischi ci appresteremo a vivere se non riusciamo sin da subito ad intervenire con misure quali appunto un reddito garantito.
Ma quale giovane precario?
Prendiamo un “non più giovane precario” (culturalmente si tende ancora ad immaginare i precari solo in quanto giovani) di circa 45 anni e che dunque negli anni trascorsi (fine 80 e anni 90) è stato quel soggetto inserito nella grande trasformazione del mercato del lavoro in qualità di lavoratore flessibile e precario. Questa persona che potremmo definire “precario di prima generazione” ha accumulato lavori diversi, salari diversi, contratti diversi. Oggi questo soggetto che ha 45 anni non si trova più nella facilità di passare da un lavoro ad un altro, viene “emarginato” anche rispetto alle disponibilità di lavori più dequalificati e dequalificanti, anche la sua “capacità” di muoversi dentro un mercato del lavoro flessibile viene meno. Il suo curriculum è fatto di diverse azioni, di diverse competenze, di diversi settori, un curriculum schizofrenico che racconta di una vita appunto legata più alle occasionalità dei lavori che ad un’unica posizione specifica. Certo, i più fortunati hanno un curriculum che si muove forse dentro “aree lavorative” o settori di riferimento (le ICT per esempio) ma magari con mansioni diverse e tempi esperenziali diversi e che non sempre somigliano alle attuali (prendete ad esempio le competenze necessarie per sviluppare i moderni software tele comunicativi).
Quel 45enne, con la nuova riforma andrà in pensione a 66 anni (presumiamo, non senza dedicare un ghigno un po’ ironico, poichè tra qualche anno un'altra riforma ci potrebbe dire che andrà in pensione a 70\72 anni). Ma quali saranno i calcoli da fare, quali le opportunità che potrà afferrare in un mercato del lavoro così selvaggio, senza garanzia e senza possibilità di volta in volta ad essere “assumibile” dentro la “fluidità e le fluttuazioni” delle opportunità di lavoro nel prossimo presente? Altro che pensione, il problema è come affrontare la quotidianità di un eterno oggi.
Avremmo dunque un soggetto che senza una garanzia, senza più le energie del suo essere stato a venti o trenta anni “precario di prima generazione”, con un’infinita disponibilità in meno di poter essere occupato. Con una infinita disponibilità in meno, proprio in riguardo alla sua dignità personale, cadrà con molta probabilità in quella schiera già ampia dei nuovi poveri.
Fine del welfare familistico
Parliamoci chiaro, il ritardo accumulato dal nostro paese nell’avviare strumenti di reddito minimo garantito universali, e la delega sostanziale di occuparsi da parte della famiglia di una redistribuzione del risparmio dimostra come i prossimi tempi saranno più che drammatici per milioni di persone. Inoltre, le misure di ‘contrasto alla crisi’ in atto, in particolare con queste ultime finanziarie, colpiscono proprio l‘ultimo anello, già debole, del risparmio familiare, di quella catena che ha retto faticosamente il peso dello smembramento del lavoro e dei diritti negli anni ormai trascorsi, aiutandoci a comprendere subito in quale drammatico scenario siamo entrati da tempo e dentro quale scenario con effetti ancora più devastanti ci apprestiamo a scivolare.
L’aumento dell’Iva avrà effetto immediato sui beni di consumo di prima necessità, l’ICI sulla prima casa, le tasse locali e le altre forme di tassazione per le spese eroderanno ancora di più quel livello di redistribuzione familiare che colpirà in primis figli e nipoti precari che non potranno più contare su quel minimo indispensabile quando i tempi si fanno neri. Se a questo sommiamo il fatto che molti “precari di
prima generazione”, raggiunta l’età degli ormai 40 anni, hanno deciso che “andando così il mondo in qualche modo bisogna pur vivere” avranno deciso di fare un figlio, si sono voluti assumere il rischio di un mutuo per una casa (visto il costo degli affitti), magari sostenuti in prima battuta proprio dai genitori pensionati (gli unici in grado di garantire ad una banca la richiesta di un mutuo) si capisce in quale baratro si sta scivolando.
Nel 2030, quando il nostro 45enne avrà finalmente l’età per andare in pensione, con i lavori che non ha mai potuto fare, con i contributi che non avrà mai potuto versare, come farà a sostenere il proprio figlio (che oggi potrebbe essere già il 15enne della neet generation) come al contrario fecero i suoi genitori? Ed ancora, le mutazioni delle composizioni della famiglia italiana avvenute in questi anni, rendono già oggi difficile il mantenimento della catena solidaristica familistica. Inoltre non vanno dimenticate le forme di solidarietà sociale, figlie della vecchia classe operaia, che oggi vengono meno proprio a fronte di una scomposizione e di una frammentazione che non garantisce altro esito che solitudini inquietanti disegnando una nuova “folla solitaria” in cerca di opportunità di sopravvivenza oltre le definizioni sociologiche di giovani e meno giovani, o di garantiti e non garantiti. Con il rischio, già evidente nella vulgata dell “immigrato che ruba il lavoro” che dentro questa folla solitaria si inneschi la legge della giungla per accaparrarsi quelle poche occasioni di sopravvivenza che si presentano.
Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani di oggi, i cassaintegrati che tra poco non avranno alcuna forma di sostegno, i precari di prima generazione (quelli tra i 35\50 anni), i precari di seconda generazione (quelli tra i 20\35 anni), la generazione neet (tra i 14\25 anni), le donne con figli, le famiglie con almeno due figli ed uno stipendio, i disabili, gli invalidi da lavoro, i detenuti o ex detenuti, gli immigrati, le figure operaie ormai in dismissione, gli informatici non più spendibili sul mercato perché con competenze ormai arretrate. Se a questa “folla solitaria” dovessimo sommare appunto la generazione neet che nel 2006 contava 860mila giovani e nel 2011 arriva ad oltre 2milioni e mezzo di individui lo scenario, che oggi ci racconta del domani è drammatico. Forse non arriviamo alle cifre indicate dall’Eurostat ma il numero crescente dei nuovi poveri, della massa di persone che vivranno o vivono sotto la soglia della povertà o nella povertà assoluta è allarmante e certo rischia di rendere plausibile la nota proposta dall’ente di statistica europeo del 42% della popolazione a rischio.
Una schiera che si allarga a dismisura, diventando sempre più ampia ed incorporando i nuovi giovani precari, quelli che possiamo definire i “precari di seconda generazione”, costruendo una nuova sedimentazione di precarietà esistenziale e poi di povertà strutturale e che si “ricompongono” non dentro lo sviluppo e la partecipazione ad una società, ma dentro una sorta di “enclave” delle nuove povertà.
La questione è estremamente seria, necessita di un intervento immediato, e ogni giorno che passa non fa altro che aumentare il disastro sociale che stiamo vivendo.
Fare presto
Ma bisogna iniziare subito, a partire dall’introduzione di una misura di reddito garantito, che sia individuale e che garantisca almeno una soglia economica sotto la quale nessuno deve più cadere. Un reddito minimo, fosse anche in prima battuta dentro una versione di ultima istanza, sganciata dal lavoro, cioè non condizionato. Un reddito garantito dunque come misura per la dignità della persona, come sostegno alla sua inclusione nella società e come forma di partecipazione ed inclusione sociale oltre il “lavoro formale”.
La questione del reddito garantito dunque oggi va affrontato con urgenza, i ritardi anche rispetto a quelle misure che molti paesi europei hanno da tempo è enorme. Cosi come è evidente che accanto a questa misura deve iniziare al più presto un grande piano di politica per la casa che rimetta al centro il diritto ad abitare e la facilità di potersi spostare dentro e fuori le città. Se è la crescita che molti indicano come toccasana per la fuoriuscita dalla crisi, questa non può avvenire se non si dotano le persone, i cittadini di quei diritti basici (reddito, casa, trasporti etc.) che gli permettono di affrontare con qualità, dignità e serenità quella quotidiana drammaticità che invece li relega oggi ad essere soggetti ricattabili, non in grado di investire sul futuro perché non in grado di investire sul presente.
Sandro Gobetti
martedì 3 aprile 2012
Assemblea Nazionale delle Donne di SEL
Assemblea Nazionale delle Donne di Sel
Il 2 e 3 marzo si è svolta a Roma, alla Casa delle Donne, l'assemblea nazionale delle donne di SEL. In questi due giorni si è trattato il ruolo della donna all'interno della società, a cominciare dal problema della rappresentanza. Difatti si è molto dibattuto su quale legge potrebbe meglio risolvere il problema della scarsa partecipazione delle donne in politica, posto che le quote rosa sono di per sé un meccanismo umiliante. L'aspetto più triste e paradossale, è che con la legge Porcellum le donne nominate sono numericamente superiori rispetto ad elezioni che si svolgono col meccanismo di preferenza. Certo è che se la rappresentanza femminile è una ex velina come la Carfagna oppure il ministro Fornero che non ha niente della tanto declamata dolcezza femminile, allora forse ne facciamo volentieri a meno.
Un altro argomento di cui si è lungamente parlato è il problema della crisi e della precarietà del lavoro, che purtroppo colpisce più duramente le giovani donne. Insomma, oltre alla grave onta di aver sedotto Adamo con una mela, continuiamo a scontare la colpa di avere un utero e di poter generare nuove vite...peraltro bisognerebbe ricordare agli uomini che loro sono al mondo proprio perché qualcuno ha concesso il periodo di maternità alla loro madre, o eventualmente uno stipendio paterno che permettesse il mantenimento della famiglia. In Italia bisogna dire l'ovvio.
L'ovvietà è stata la parola d'ordine di questi due giorni romani, del ruolo della donna si discute negli stessi termini dagli anni settanta, da quando le femministe hanno vinto qualche battaglia. E poi il nulla, il vuoto cosmico, riflessioni sempre uguali, problemi identici. Questo paese sembra fermo, socialmente e culturalmente, da oltre 40 anni. Quante volte abbiamo sentito parlare di femminismo? Tanto che ormai è stato completamente svuotato di ogni significato. In una nazione che non progredisce, anche i diritti civili sono in stallo. E quindi ci tocca ripetere sempre le stesse cose, come un mantra un po' triste che cade nel vuoto. Ancora le nostre richieste non sono state ascoltate, ancora le nostre proposte non sono state accolte. È vero, noi donne siamo noiose, diciamo sempre le stesse cose, siamo rompine non solo come mamme ma anche come cittadine. Quindi, cari uomini, accontentateci! Dateci ragione come fate tra le mura domestiche per evitare le discussioni! Regalateci con magnanimità almeno un po' di parità! Dateci il contentino! Così finalmente non saremo più costrette a ripetere sempre le stesse cose.
Martina Steinwurzel
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