"Ci vuole cultura e struttura. Ci vuole un’organizzazione, radicata e flessibile, giovane e coraggiosa: un soggetto politico che si metta in rete con tutte le esperienze innovative, e che tessa il filo delle idee e delle passioni autentiche. " (dal Manifesto fondativo di Sinistra Ecologia Libertà)


domenica 24 giugno 2012

DOPO LE ELEZIONI IN GRECIA, L'EUROPA NON E' SALVA


Poche altre volte, nella storia, è capitato che i cittadini di un intero continente seguissero con tanta apprensione ogni singolo passaggio di una vicenda elettorale. E’ accaduto in Europa, nascondere l’ansia per gli ultimi risvolti della vicenda greca è stato praticamente impossibile. Per cui, riflettori puntati sulla Grecia. Eccoci là, eccoci incollati alla tv, agli smartphone o ai tablet per conoscere l’esito di quel “rigore” imposto alla popolazione greca – i cui effetti, in verità, dovrebbero essere ben noti.
Nea Dimokratia ha vinto le elezioni greche. Un sospiro di sollievo percorre mari e Monti, i mercati esultano, gli scommettitori della finanza brindano e noi cittadini europei assieme a loro – del resto è ad essi che abbiamo affidato le sorti della nostra economia, no?

Dunque la Grecia rimarrà nell’Euro alle condizioni della Troika, la sua permanenza nella moneta unica sembra aver scongiurato una volta per tutte le paure di un (eventuale) «effetto domino» sulle altre economie europee che una (eventuale) fuoriuscita dall’Eurozona avrebbe provocato, il capro espiatorio del dramma europeo potrà continuare a rimanere tale.

Il dibattito sulla questione greca è stato per lo più alimentato da falsi miti. Le elezioni greche sono state interpretate dall’opinione pubblica internazionale come un referendum sulla moneta unica, con Alex Tspiras sul banco degli imputati quale incosciente fautore del ritorno alla Dracma. Non è esatto: Tspiras ha anzi ribadito più di una volta il sentimento europeista del suo Paese, lamentando semmai che il cammino intrapreso da questa Europa non è quello giusto.

Tspiras non intendeva affatto sottolineare il peso ingombrante della moneta unica, invocandone l’uscita. Solo, il leader di Syriza si è riservato di denunciare quanto l’austerity stesse facendo male al suo Paese e quanti pochi benefici stesse portando alle economie dell’Eurozona. Intervistato dal Guardian, Tspiras ha sottolineato la necessità di rinegoziare quel ‘memorandum’ che Bruxelles ha imposto alla Grecia, affermando che “il popolo greco ha bisogno di un urgente programma di riforme che supportino la crescita, la creazione di posti di lavoro e gli investimenti”, una serie di misure finalizzate a stimolare l’economia greca “per poter pagare il debito e riformare ogni aspetto della vita, dal sistema sanitario al settore pubblico”. Niente di più diverso da quanto lasciato trasparire dalla stragrande maggioranza della stampa internazionale, insomma.

Amputare una gamba per curare un raffreddore. Questa sembra divenuta la prassi, in Europa. E non è solo una metafora. L’Unione Europea miope lo è divenuta davvero, sia nella diagnosi del malato greco sia nella capacità di definire se stessa e i suoi limiti.

Spesso non ce ne rendiamo conto, ma la Grecia sta male davvero. Il reddito pro capite medio dei cittadini greci è diminuito di circa il 30% dall’inizio della recessione mentre il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 23%. Nella più ottimistica delle previsioni, il prossimo anno il debito pubblico dovrebbe assestarsi al 161% del Pil nazionale. Le imprese falliscono o scappano all’estero, i dipendenti greci lavorano in media 2120 ore all’anno (molto più dei tedeschi, per la cronaca) ma hanno vacanze più corte della media europea (fonte: Sbilanciamoci.info).

Ma il capitolo più drammatico della tragedia greca riguarda sicuramente il settore sanitario – questione di cui troppo poco si parla, a dire il vero. Nonostante i consistenti tagli al settore, lo Stato deve circa 750 milioni ai farmacisti. Soltanto ad Atene sono state chiuse 120 farmacie e almeno 300 sono i farmaci non più trovabili sugli scaffali. Gli ospedali non ricevo finanziamenti sufficienti, le famiglie sono costrette a portare con sé materiali di prima necessità per i propri familiari ricoverati nelle strutture pubbliche, i pazienti affetti da cancro non possono permettersi di sostenere il peso economico delle cure.

Insomma: l’Unione Europea non sta curando il paziente, lo sta letteralmente uccidendo. “Health” e “Wealth” sono due concetti che non appartengono più all’Europa, purtroppo è un dato di fatto. Noi pensiamo che una crisi non si può combattere attingendo a quelle risorse che dovrebbero essere destinate a settori di vitale importanza quale la sanità e il welfare.
Quindi no, l’Europa non è “salva”.


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